Tra lo scorpione e la salamandra di Mauro Banfi

Voglio raccontarvi come mio padre vide la mia sorte nelle fiamme del camino, tra uno scorpione e la salamandra.


- firma originale di Benvenuto Cellini sul "Perseo"-


Ancora viveva il mio caro nonno Andrea, io avevo tre anni e lui passava i cento.
Un giorno stava lavorando al condotto della fontana, quando all’improvviso dal tubo di metallo fuoriuscì un grosso scorpione nero che andò a prendere il sole su una panca lì vicino.
Senza rendermi conto del pericolo corsi verso l’animale e lo presi con le mie piccole mani.


Lo scorpione era davvero enorme (mi hanno raccontato) e la sua lunga coda col pungiglione velenoso e le sue grandi chele si agitavano rischiosamente intorno alle mie manine.
Mi dicono che corsi tutto contento da mio nonno, urlandogli per la gioia:
«Guarda nonno, ho trovato un bel granchiolino!»
Il povero nonno Andrea, riconosciuto lo scorpione, per poco non cadde a terra svenuto per lo spavento.
Subito mi ordinò e m’implorò di lasciarlo cadere in terra, ma io invece piangevo perché non volevo liberarmi del mio giocattolo e mi misi a gridare disperato, stringendo forte le dita sullo scorpione.
Mio padre, che era in casa, accorse richiamato dalle mie grida, e in un primo momento non sapeva come riuscire a salvarmi da quella minaccia letale.
Poi vide un paio di forbici da siepe appoggiate vicino al muro, le prese, mi disse di star fermo e zac! 
Tagliò la coda e poi le chele dello scorpione in un lampo.
In seguito mi disse che era sicuro che stavo per morire, e il fatto d’aver superato quella prova tremenda non poteva essere altro che un buon presagio.


Avevo cinque anni, ed ero con mio padre Giovanni davanti a un camino, mentre un guizzante fuoco di legna di quercia asciugava il bucato.
Mio padre con una viola in braccio suonava e cantava come amava spesso fare.
Faceva molto freddo: guardando nel fuoco, mio padre per caso notò uno strano animaletto somigliante a una lucertola, il quale poco distante sembrava anche lui gioire per il calore delle fiamme.
Accortosi subito dai suoi anelli di colore che era una salamandra, fece chiamare anche mia sorella e dopo averci mostrato l’animale, mi mollò un sonoro ceffone in piena faccia, e per questo motivo cominciai a piangere a dirotto.
Mio padre cominciò subito a consolarmi con la sue maniere gentili, e mi disse:
«Caro figliolo, non ti ho castigato perché hai commesso qualcosa di male, ma solo perché tu ricordi che quella lucertola che vedi vicino al fuoco, che è una salamandra, mi ha parlato del tuo destino.
Ti aspetta una vita che sarà sempre in bilico fra morte e rinascita, carcere e libertà, tenebra e luce.
Non dovrai mai dimenticarlo: non esaltarti nella vittoria e non abbatterti nella sconfitta, perché sempre potrai cadere e sempre potrai rinascere.
Ricordalo, sii pronto e diventa quello che sei.»


1 commento:

  1. Traduzione dall'italiano cinquecentesco: Mauro Banfi
    da " Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze".
    Ecco il brano originale de "La vita" I,4:

    IV. Ancora viveva Andrea Cellini mio avo, che io avevo già l'età di tre anni incirca, e lui passava li cento anni. Avevano un giorno mutato un certo cannone d'uno acquaio, e del detto n'era uscito un grande scarpione, il quali loro non l'avevano veduto, ed era dello acquaio sceso in terra, e itosene sotto una panca: io lo vidi, e, corso allui, gli missi le mani a dosso. Il detto era sí grande, che avendolo innella picciola mano, da uno degli lati avanzava fuori la coda, e da l'altro avanzava tutt'a dua le bocche. Dicono, che con gran festa io corsi al mio avo, dicendo; - Vedi, nonno mio, il mio bel granchiolino! - Conosciuto il ditto, che gli era uno scarpione, per il grande spavento e per la gelosia di me, fu per cader morto; e me lo chiedeva con gran carezze: io tanto piú lo strignevo piagnendo, ché non lo volevo dare a persona. Mio padre, che ancora egli era in casa, corse a cotai grida, e stupefatto non sapeva trovare rimedio, che quel velenoso animale non mi uccidessi. In questo gli venne veduto un paro di forbicine: cosí, lusingandomi, gli tagliò la coda e le bocche. Di poi che lui fu sicuro del gran male, lo prese per buono aurio.
    Innella età di cinque anni in circa, essendo mio padre in una nostra celletta, innella quale si era fatto bucato ed era rimasto un buon fuoco di querciuoli, Giovanni con una viola in braccio sonava e cantava soletto intorno a quel fuoco. Era molto freddo: guardando innel fuoco, accaso vidde in mezzo a quelle piú ardente fiamme uno animaletto come una lucertola, il quale si gioiva in quelle piú vigorose fiamme. Subito avedutosi di quel che gli era, fece chiamare la mia sorella e me, e mostratolo a noi bambini, a me diede una gran ceffata, per la quali io molto dirottamente mi missi a piagnere. Lui piacevolmente rachetatomi, mi disse cosí: - Figliolin mio caro, io non ti do per male che tu abbia fatto, ma solo perché tu ti ricordi che quella lucertola che tu vedi innel fuoco, si è una salamandra, quali non s'è veduta mai piú per altri, di chi ci sia notizia vera - e cosí mi baciò e mi dette certi quattrini.

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