Terza puntata: Progetto Goodchild


- illustrazione di Fabio Cavagliano -

Strangman scattò con la testa all’indietro sorridendo, come se si trovasse di fronte a un forziere contenente uno splendente tesoro. I denti bianchi luccicarono nella penombra del carrozzone. Il dito levato in alto si abbassò e annuì soddisfatto.

«Avidità. Non avrei potuto trovare una parola migliore. L’avidità è valida, è giusta, è funzionante e funzionale. L’avidità chiarifica, penetra e cattura l'essenza dello spirito evolutivo» fece una breve pausa per scrutare negli occhi dei ragazzi, «l'avidità e tutte le sue forme: vivere, amare, conoscere, possedere. L’avidità ha improntato lo slancio in avanti di quella imperfetta razza che chiamate “razza umana”. Ricordalo quando verrà il momento».
Cercò la testa di Walden con una mano come per carezzarlo, ma senza sfiorarlo. Il bambino, tuttavia, si ritrasse.
«Voglio farvi vedere una cosa, venite» disse Strangman, invitando i ragazzi a entrare nel carrozzone.
Borbottando si mise a rovistare in uno stipo, un piccolo armadio costruito in legno pregiato e bizzarramente decorato.
Ne estrasse un grande foglio arrotolato che aveva tutta l’aria di essere una specie di manifesto, come quelli che si vedevano nei film western, con la foto del ricercato e, sotto, la taglia. 
Lo aprì. C’era un foro vicino al lato superiore, il punto in cui era stato affisso da qualche parte. Non c’era però una singola foto, ma molte, e una scritta ripetuta sopra di ognuna: Progetto Goodchild.

Una foto, quella più grande rispetto le altre, ritraeva un tizio con la barba, vestito di nero. Tania fissando quell’unica foto sgranata e malconcia, ricordò involontariamente le parole udite poco prima: “non sono del tutto umano”.
Sotto, disposte a piramide, c’erano una dozzina di altre foto. Quasi tutte erano barrate con delle X, tutte tranne due.
«Sì, sì, sì. Io non dimentico mai una faccia» disse Strangman, Alzò due dita e iniziò ad agitarle, «famigliari?» chiese mentre come un prestigiatore, faceva apparire una vecchia foto a colori tra di esse.
Ritraeva le stesse persone del manifesto, ma in un contesto differente. Sembrava una foto di gruppo, tutti sorridenti in camice bianco, tranne uno.
- Mr Goodchild: disegno Fabio Cavagliano -

L’uomo barbuto era l’unico senza camice e ancora vestito di nero, ma la cosa che più colpì i ragazzi fu riconoscere i propri genitori al suo fianco. Erano molto giovani ma nonostante, finora, Walden e Tania non avessero mai visto delle vecchie foto, capirono che quelli erano mamma e papà quando avevano la loro stessa età.
Tania cercò Strangman nella foto, ma non riuscì a non trovarlo.
Dietro il gruppo c’era una gigantesca scultura a forma di albero, formato da bizzarre onde ellissoidi.

Che fosse un ornamento di cattivo gusto, oppure qualcosa di più significativo non potevano saperlo al momento. Probabilmente aveva a che fare col Progetto Goodchild.
«Cosa significa tutto questo?» domandò Tania «Sei stato tu a segnare le foto?».
Denaro, mia cara bambina» rispose Strangman sornione. «Quando si viaggia in lungo e largo, come il sottoscritto, si impara a dare il giusto valore alle cose.»
Prese di nuovo in mano il manifesto e lo avvicinò al viso di Tania. «Con i vostri genitori potrei completarlo e così incasserei una bella ricompensa!» disse alzando il tono della voce e allarmando i ragazzi. 
D’improvviso però tornò a sedersi, e arrotolò il manifesto con gesti lenti. «Ma cosa vuoi che me ne importi, quando quello che ora mi interessa di più è avere la vostra fiducia.» La sua voce era pacata, sembrava che l’impeto avesse prosciugato le sue energie. «Fiducia, fede o credo, mettile il nome che preferisci, resta comunque la moneta universale, un valore riconosciuto in ogni angolo del macroverso. Il gettone che infili nel juke box per far suonare l’armonia delle sfere...» il suo sguardo mutò nuovamente e si fece curioso. «Voi vi fidate di mamma e papà, vero?».
I ragazzi esitarono. «Che cos’è quella foto?» chiese Walden aggressivamente.
Strangman stritolò il manifesto. «Non intendo interferire coi metodi educativi delle famiglie. Dopotutto, sono solo un modesto venditore di spettacoli. Non pensi che dovresti chiederlo a loro, figliolo?».
Il ragazzo afferrò il braccio della sorella e indietreggiò, piano piano.
«Siate curiosi, ragazzi. Chiedete loro del Progetto Goodchild». Insistette Strangman, poi incrociò le lunghe dita e le portò sotto il mento.
Tania indietreggiò tirata dal fratello.
“L’uomo in bianco, nel bosco, ha detto che ci non avrebbe fatto del male” pensava Tania, “oppure ha detto che dentro al bosco non ci avrebbe fatto del male”. Il dubbio si stava insinuando nella sua mente. «Noi dovremmo...» cercò di dire senza riuscirci.
«Ma certo, ragazzi. Dovreste proprio.» Furono le ultime parole pronunciate da Strangman che riuscirono a udire, mentre fuggivano senza voltarsi.

«Credi che dovremmo dirglielo?» disse Walden a Tania, fissando i suoi piedi che ora calpestavano il prato fuori dal bosco, appena attraversato a perdifiato.
Tania non rispose.
«Quella faccenda del non essere umano, il carrozzone, il manifesto… Insomma, tutte quelle bugie! Secondo me si è solo divertito a spaventarci. I grandi lo fanno a volte. No?» 
Senza accorgersene, la tensione e la paura avevano fatto regredire i suoi pensieri, la sua voce e il linguaggio. Era il Walden bambino che usava parole come “i grandi”, non il Walden di oggi. «E poi non è successo niente» concluse ridendo nervosamente.
Tania, invece, si stava per mettere a piangere e solo dopo alcuni profondi respiri riuscì a rispondergli. «Qualcosa è successo. È successo che ce ne stiamo rintanati in questo buco e non usiamo più l’acqua. È successo che non vediamo da anni delle persone come me, te, ma… mma e papà».
«Ma la mamma e il papà ce l’hanno raccontato».
Tania si arrestò di colpo, afferrò suo fratello per le braccia e lo strattonò. Voleva dargli uno schiaffo e alzò una mano in aria, ma Walden non reagì. Teneva gli occhi strizzati. Non voleva vedere. Voleva negare tutto. Fare finta che ogni cosa fosse stata com’era stata fino a quella mattina. Ma non era più possibile.
Niente poteva essere più come prima dopo quello che i genitori gli avevano raccontato, dopo quello che l’uomo in bianco aveva detto e mostrato loro. Era qualcosa di troppo grande per non essere visto e non spariva semplicemente chiudendo gli occhi.
«Walden svegliati! Non capisci che è successo qualcosa che ha distrutto le nostre vite?». Tania stava realizzando che mamma e papà non avevano raccontato tutto. L’uomo in bianco era reale, Il manifesto era reale, ma cos’era vero.
“Vi fidate di mamma e papà?” continuava a chiedersi Tania. Quella domanda, quel dubbio era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, che aveva infranto la loro campana di vetro.
Il loro mondo, che fino a ieri credevano normale e giusto, non esisteva più. Era stato sostituito dalla realtà, una cosa troppo grande per essere compresa dalle loro menti innocue. E loro non avevano fatto altro che cercare di tenerle tali il più a lungo possibile. Gli indizi e i segni erano tutt’intorno, ma non avevano occhi per vederli.
Questo era insopportabile già di per sé, ma scoprire che in questa realtà, i genitori potessero mentire ai propri figli... il loro guscio si stava sciogliendo come neve al sole.
Tania improvvisamente si mise a correre, tallonata dal fratello, conscia che ogni passo che avrebbe percorso l’avrebbe mutata, ogni scelta avrebbe insudiciato la loro innocenza, trasformandola in realtà.
Salirono sulle biciclette e pedalarono usando tutte le proprie forze fino a casa, accorgendosi solo ora di quanto rumoroso poteva essere il silenzio che li circondava, quasi fosse una belva che si stava preparando a sopraffare la propria preda. Tania iniziò ad urlare e Walden smarrito la imitò.
Quando arrivarono alla radura, i loro cuori si arrestarono. Gettarono le bici e corsero verso il camper rovesciato su un fianco, l’area intorno era stata devastata.


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