Tarocchi di Eli Arrow e Roberta M.


La coscienza ritornò improvvisa al rumore di un chiavistello che veniva tirato. Sotto la schiena dolorante, sentiva il pavimento ruvido e freddo. Cercò di alzarsi ma ebbe un mancamento, la testa gli girava. Aveva paura di cadere, così si guardò intorno restando seduto.
Era in mezzo a un ampio salone quadrato, completamente spoglio.
Non riusciva a capire da dove provenisse la luce; bianca, quasi accecante, pareva si diffondesse dai muri e dal soffitto. Lungo la parete alle sue spalle erano allineate tre sagome rettangolari scure, alte poco più di un metro.
Provò ad alzarsi di nuovo, per fortuna la vertigine era sparita.
Mosse qualche passo in direzione delle sagome e strizzò gli occhi per metterle a fuoco; erano porte, sì, ma decisamente strane: basse, strette, ognuna con un disegno diverso nel mezzo. Avvicinandosi riusciva a distinguere meglio le immagini. Su ogni anta era raffigurato uno degli arcani maggiori dei tarocchi e sotto al disegno, scritti a caratteri appuntiti, forse gotici, spiccavano il nome e il numero corrispondente: La Torre, numero sedici; La Stella, numero diciassette; Il Ponte, numero quarantasette.
Qualcosa non quadrava. Lui non era un esperto di tarocchi, ne aveva solo una conoscenza superficiale, ma era sicuro che gli arcani maggiori fossero ventidue e un arcano chiamato ‘Il Ponte’ non l’aveva mai sentito nominare.
Fermo in piedi davanti alle porte, si chiese che significato avessero i disegni. Erano un’indicazione? Doveva tenerne conto scegliendo la porta da aprire ? I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore forte e improvviso, uno scricchiolio prolungato che proveniva da tutte le parti. Sentì il pavimento freddo vibrare sotto i suoi piedi nudi e il cuore gli balzò in gola quando vide le pareti spostarsi in avanti, verso il centro della stanza, riducendone l’area. Il rumore si arrestò bruscamente e tutto tornò silenzioso e immobile.

Si guardò attorno, trattenendo il fiato, con la sensazione di essere circondato da invisibili tentacoli. Non vide nulla: il salone – o quel che ne restava - era spoglio come prima. «Soffoco», pensò. Le porte erano tanto vicine da poterle toccare. Il dilemma si ripresentava, ora, senza più alcuna possibilità di scampo: quale delle tre doveva scegliere? Per quanto ne sapeva, la Torre non era un simbolo positivo. La Stella, poi, evocava luce, e doveva simboleggiare una traccia da seguire. Ma forse confondeva i Tarocchi con la leggenda dei Re Magi. Chissà quale inganno si nascondeva dietro un simbolo tanto luminoso e lontano. Non si fidava della sua memoria. Nell’incertezza, si lasciò affascinare dall’ignoto: quel Ponte, anche se inquietante, era la possibilità più aperta, in proporzione uguale, al Male e al Bene. Senza che lui la sfiorasse, la porta che recava il simbolo del Ponte si socchiuse cigolando.
La parete si ritirò nuovamente, con un rumore di risucchio, come quando la marea si ritira al’improvviso prima di caricarsi. Di nuovo il pavimento vacillò. La testa ora gli girava più che mai; si sbilanciò e cadde di nuovo, come ubriaco. Si trascinò con le braccia, lasciando dietro sé tracce di sangue e brandelli di stoffa. Nello stesso istante il soffitto tremò, le travi cominciarono a cadere. Premette con la testa contro la porta. Un soffio di vento, improvviso e fortissimo, spazzò via tutto quello che c’era dietro di lui.
 Il Ponte era curvo, in pietra grigia, e aldilà sintravvedeva una boscaglia. Il cielo era cupo e basso. Sentì un  latrare di cani. Si guardò attorno circospetto, appoggiandosi alla sponda. Gli sembrò di vedere un’ombra enorme e scura sparire dietro un albero. C’erano grosse querce e cespugli folti. Le nubi brontolavano lontano. I rami sembravano allungarsi come per afferrare quella cosa che era passata. Trasalì, e si afferrò al parapetto. L’ombra fuggì. Si allungò nell’intento di distinguerne la forma: cos’era? Un uomo? Se sì, doveva essere enorme. Un animale? Quale bestia si ergeva sulle zampe posteriori così disinvoltamente, muovendosi con tanta agilità? Che razza di terra era quella, di là dal ponte? C’era qualcosa d’inquietante eppure familiare. Ancora pochi passi e l’avrebbe saputo. Forse.
La pietra del parapetto a cui si era aggrappato, spaventato dal rumore dei rami e dall’ombra che fuggiva via, gli si sbriciolò tra le mani. Cadde. Per un tempo incalcolabile continuò a precipitare. Sentiva lo stomaco svuotarsi, man mano che cadeva, a tratti, come a scandire diversi livelli. «Mi sfracellerò al suolo», pensò. Poi, con un tonfo sprofondò in acqua, proprio davanti a una cascata. Il corpo scese in profondità ma riuscì a risalire a galla. Respirò finalmente, allontanandosi un po’ dagli spruzzi della cascata. Tutt’intorno alle rive c’erano felci alte, gigantesche, e piccole spiagge di sabbia chiara.
Riuscì a raggiungere la riva e si abbandonò carponi sulla sabbia. Quando rinvenne, cautamente provò ancora ad alzarsi. La prima stella della sera lo stava scrutando dall’alto. Gli sembrò che si spostasse. Si sentì osservato. D’improvviso la stella si dilatò e apparve una bocca. Sopra sbocciarono due occhi cavi, scuri e acquosi. La bocca si muoveva come masticando.


«Risposta sbagliata.» sogghignò la faccia che appena prima era stata una Stella. «Il Ponte era una carta truccata. Qui tutto è truccato, del resto.
Ti eri illuso di scappare? Di tornare da dove sei venuto? Da qui non si torna indietro, mio caro. Ponte o non ponte, varcata la soglia, qualunque essa sia, non si torna indietro». E spalancò la bocca in una risataccia sguaiata, sbavando una saliva verdastra. Lui socchiuse gli occhi e si arrese al suo destino. La Stella allungò il collo, scese fino a terra e lo ingoiò come un boa albino. Macinò nelle fauci la carne gommosa e poi sputò le ossa, dopo averle succhiate accuratamente.
Dal bosco, come tutte le notti, uscirono le Ombre. Sedettero in cerchio, l’Ombra Madre accese il fuoco, rimestò le braci con un grosso bastone nodoso, e cominciarono a raccontarsi le storie del mondo al di là delle porte, dove vivono gli uomini ingenui che credono ai Tarocchi e s’illudono di poter fare la scelta giusta.

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