Rubrus: oggettivo e soggettivo: prospettive e direzioni nella letteratura horror

Penso che la narrativa dell'orrore possa essere definita come quel tipo di narrativa che mira a produrre inquietudine nel lettore ricorrendo ad elementi soprannaturali.
Se così è, credo che all'interno di questo tipo di narrativa possano individuarsi due tecniche distinte e complementari a seconda dell'elemento attraverso il quale il soprannaturale, lo straordinario, entrano nella storia.
In alcune storie lo straordinario entra nella narrazione essenzialmente attraverso il soggetto, in altre attraverso l'oggetto.
Sono, ripeto, due tecniche distinte, ma unite e funzionali allo stesso scopo, come i rebbi di una forchetta, e possono anche coesistere sia nelle opere dello stesso autore, sia all'interno della stessa opera.
Partiamo dagli inizi della narrativa dell'orrore moderna (userò i termini “orrore” e “terrore” indifferentemente, anche se non sono sinonimi) e prendiamo i racconti di Poe.
Spesso i suoi personaggi sono dotati, o affetti, da una qualche forma di ipersensibilità ed è grazie ad essa che il soprannaturale entra nella storia. Prendiamo Roderick Usher, il cui “cuore è come un liuto sospeso, non appena lo tocchi, risuona” o il protagonista del “Cuore rivelatore”, o quello del “Gatto nero” con le sue visioni allucinate indotte dall'alcool.
Abbiamo, certo, tutto l'armamentario gotico: case isolate, presenze spettrali (o presunte tali), maledizioni, lignaggi antichi e decaduti, ma raramente il personaggio tipo dei racconti neri di Poe è un soggetto “normale” (qualche volta sì: il protagonista de “Il pozzo e il pendolo” non ha in fondo nulla di straordinario, se non la sventura di trovarsi nelle mani sbagliate).
Tutto questo apparato, però, è secondario rispetto al soggetto che vive la storia; anzi, senza quel personaggio la storia non esisterebbe – e, a fugare ogni dubbio in proposito credo che basti ricordare l'uso costante ed esclusivo della prima persona.
A rendere inquietante il racconto insomma, è la stessa persona che lo racconta, più che il contesto o il mostro che compare in scena (anzi, alla fine soggetto e mostro finiscono per coincidere).
Nella classica ghost story britannica (MR James, EF Benson, A. Blackwood) la prospettiva è un po' diversa. Il soggetto in questione non ha quasi mai poteri o talenti particolari, ma, al massimo, conoscenze particolari (un concetto molto positivista e vittoriano, se ci pensate) ed è grazie ad esse che si imbatte, spesso involontariamente, in grimori, oggetti malefici, luoghi infestati. Il protagonista è sovente un erudito, ma quasi mai un gentleman straordinario. Il soprannaturale entra quindi nella storia attraverso l'oggetto (con ciò intendendo anche il luogo, il contesto) benché grazie ad una particolare qualità del soggetto che tuttavia non si pone quasi mai al di fuori del contesto umano.
Henry James, da non confondere con Montague, giocando sull'ambiguità, usa carte diverse.
La via “oggettiva” al soprannaturale è oltremodo evidente nell'opera di Stoker. Dracula incarna tutto il male che viene dall'esterno (ed è lui, il protagonista occulto del romanzo, benché appaia pochissimo) mentre i suoi un po' scialbi antagonisti sono (anche Van Helsing, che ha un approccio quantomai raziocinante al soprannaturale) uomini di fede, scienza e ragione.
Stevenson, qualche anno prima, aveva giocato alla grande su tutti e due i tavoli (la carta del “doppio” viene giocata anche in questo modo: Hyde è il soprannaturale che si oggettiva grazie alla hybris di Jeckyll, ma il dottore è uomo quanto mai comune che scopre il siero quasi per caso – lo scrittore scozzese precorre i tempi anche sotto questo profilo, ma ne parlerò un'altra volta).
La Shelley, all'inizio del secolo, ci aveva presentato un Frankestein con tratti superomistici.
Dall'altra parte dell'oceano e qualche anno dopo, troviamo Lovecraft (che, ricordiamolo, è un isolato), il quale, dopo inizi “alla Poe” rende l'intero universo fonte del terrifico soprannaturale – credo che il concetto di orrore cosmico possa leggersi anche così. I suoi personaggi sono pressoché anonimi e più che scatenare l'orrore inciampano in esso per particolari circostanze contingenti. HPL usa sempre in modo ossessivo ed esclusivo la prima persona, ma in modo assai diverso dal suo maestro. Di rado i suoi personaggi sono geniali e non hanno mai (almeno, quelli della maturità) connotazioni al di fuori dell'ordinario. Come gli antiquari di MR James, si imbattono nel soprannaturale e nel terrificante perché è il loro lavoro a porre le condizioni perché ciò accada … e perché sono oltremodo sfortunati.
Tutti gli investigatori dell'incubo di Hodgson, Quinn, Wellman, hanno anch'essi, più che doti o talenti particolari, conoscenze e saperi peculiari.
Leiber partirà da premesse lovecraftiane ma svilupperà una sua narrativa “nera” su concezioni junghiane e Robert Bloch, partito dall'apprendistato presso il solitario di Providence, ci scriverà “Psycho” che solo di poco non è un racconto dell'orrore nel senso tecnico che dicevo sopra (mancanza dell'elemento soprannaturale).
Cosa è successo? Sostanzialmente due cose.
In primo luogo, si è sviluppata una cultura popolare di massa.
Il lettore dei pulp, non avendo nulla a che spartire con il Lord Vattelapesca, non è interessato a come lo spettro di famiglia lo perseguiti.
Ben diverso se lo stesso spettro ossessiona il fruttivendolo all'angolo.
Nel XX secolo è successa alla narrativa horror la stessa cosa che è successa a quella noir: è uscita dai manieri e dai salotti dell'aristocrazia – anche del denaro – dove viene servito il tè delle cinque ed è scesa nelle strade.
In secondo luogo si sono sviluppate la psicologia e la psicanalisi.
Se prima certi moti dell'animo erano sostanzialmente incomprensibili (e comunque non si aveva verso di essi un approccio scientifico), la scoperta dell'inconscio ha radicalmente cambiato il modo di vedere le cose (Stevenson era stato un precursore anche sotto questo profilo). Ma c'è di più. Il benessere maggiormente diffuso, l'aumento dell'alfabetizzazione, l'aumento della scolarità, hanno spazzato via in modo definitivo l'idea che una certa qual sensibilità fosse “roba da ricchi”.
Il soprannaturale terrifico nella narrativa, quindi, si è aperto una sua strada attraverso la psiche dell'uomo comune che è diventato il protagonista quasi assoluto di questo tipo di storie.
C'è stato quindi un mutamento del verso nella strada che lo straordinario terrifico percorre per arrivare al soggetto.
Agli inizi della letteratura horror era di solito il soggetto ad andare verso lo straordinario.
Nel Novecento il percorso di solito si inverte: non è più l'uomo comune ad andare verso il soprannaturale (del resto, se lo facesse, cesserebbe forse di essere “uomo comune”) ma il soprannaturale ad andare verso il protagonista.
Non più nobili, ricercatori della conoscenza proibita, esploratori avventati o altre figure sopra le righe, ma il tizio della porta accanto cui succede qualcosa di brutto – e, mentre leggiamo, una voce ci sussurra “eh sì, potrebbe capitare anche a te...”.
Se prendiamo i protagonisti delle opere di King – anche quelli che, sovente loro malgrado, hanno talenti straordinari – vediamo che l'autore pone sempre l'accento sulla loro ordinarietà, più che sulla loro straordinarietà. L'esempio più evidente è il protagonista de “La zona morta”, dotato di poteri ESP, il cui tratto di uomo comune è scritto nel nome “John Smith”. E, spesso, il soprannaturale passa attraverso l'infanzia, età in cui tutti siamo oltremodo sensibili a certe suggestioni e che tutti abbiamo, evidentemente, vissuto. Un'esperienza quanto mai comune.
Ora: non è che il protagonista straordinario sia scomparso. Esso è vivo e vegeto. Semmai è diventato ancor più straordinario, pensiamo ai protagonisti delle varie saghe vampiresche. Solo che, così facendo, è probabilmente uscito dal genere.
Non sarei onesto se non esprimessi, a questo punto, le mie personali preferenze in proposito, così che il lettore possa fare la tara.
L'orrore “oggettivo” in cui è la situazione in sé ad essere spaventosa, non mi basta. Non lo rifiuto, perché non sono uno snob, ma non è sufficiente (ripeto, e scusatemi, ma voglio essere chiaro: ci vuole, ma non basta). A parte la considerazione che insistere troppo su questa tecnica porta ad una escalation di raccapriccio che vede l'autore sempre perdente, il fatto è che puntare solo su questa carta impedisce l'empatia tra lettore e protagonista ed è quella l'asso nella manica.
Mi diceva una persona che le storie coi mostri gotici (vampiri ecc) lo stufano. Questa è la dimostrazione che ci si abitua a tutto e, per quanto inquietante possa essere una creatura non morta che succhia sangue, dopo che hai visto la quarta, o la centesima, ci hai fatto il callo. Vai a cercare qualcosa di peggio, e poi di peggio ancora, e ancora... e finisci o nel ridicolo o nella violazione del buon gusto o del codice penale. Parlando per esempio delle “creepypasta”, infatti, di cui si discorreva qualche giorno fa, personalmente le trovo o ridicole o ributtanti, ma non spaventose (ok, è spaventoso come sono scritte, ma questo non vale). Dirò di più. Giocare e puntare tutto sulla situazione oggettivamente spaventosa è puerile perché, come dice Lady Macbeth “solo i bambini hanno paura di un demone dipinto”.
Quello che ci atterrisce, secondo me, è il fatto di vedere un essere umano come noi – e che potremmo essere noi, è questo il trucco – in una situazione spaventosa vuoi perché gli è capitata tra capo e collo (l'orrore che viene dall'esterno) vuoi perché se l'è andata a cercare, vuoi perché (ahi lui) ha scoperto un lato spaventoso della realtà, ma (ohibò e ahi noi ed è questo il tavolo su cui giocava Lovecraft) è la nostra stessa realtà, vuoi perché (e queste, le storie dell'orrore interno, sono probabilmente le più efficaci) è lui stesso ad essere spaventoso e lui è proprio come noi.
Anche per la narrativa dell'orrore, quindi, a mio parere e come per ogni forma di narrativa, l'effetto voluto deve essere perseguito attraverso una più profonda conoscenza dell'uomo e del mondo in cui vive. 
 A cura di Rubrus


1 commento:

  1. consiglio vivamente a tutti, perchè al suo interno si dibattono delle questioni veramente essenziali per l'arte del racconto, e a mio avviso anche per l'arte poetica.

    In sintesi, (leggete con calma il post di Roberto, mi sembra sbagliato inserirci al momento digressioni e approfondimenti che risulterebbero solo copie sbiadite), in letteratura come nell'arte tutta, niente è completamente soggettivo (come credevano i romantici e i loro svariati post-) e niente è completamente oggettivo (come credono ancora oggi certi pallosi accademici manieristi, i quali difendendo certe formulette matematiche difendono più che altro il loro posticino statale sicuro senza meritarsi il guidernone).

    Come ti ho detto altrove, ho ritrovato questo stesso equilibrio dialettico nei magnifici scritti critici di Lovecraft (letti per la prima volta recentemente, ahimè, una vera delizia), dove il buon genio di Providence spiega il metodo per comporre un racconto, impostandolo proprio su questa sinergia tra oggettivo e soggettivo. Consiglio a tutti di leggere questi scritti, davvero memorabili.

    Caro Roberto, t'invito inoltre a collaborare con me a tenere un laboratorio nel Forum su questi scritti lovecraftiani e sul tema da te esposto, quanto prima.

    Consiglio inoltre ai gentili lettori la lettura di questa preziosa guida alla letteratura horror e weird della casa editrice Odoya: "Guida alla letteratura horror".

    Edito in questi giorni per festeggiare il duecentocinquantesimo anno di vita ( tutto cominciò col gotico Castello d' Otranto di Horace Walpole nel 1764) di questa preziosa forma di narrativa, contiene al suo interno preziose riflessioni affini a quella del buon Rubrus, e una disanima completa del fenomeno horror/weird in Italia, dove ho scoperto con piacere la presenza di molte donne e una strana concentrazione di questo tipo di autori in Emilia , in Romagna e in Lombardia.

    La bassa padana territorio ideale per l'horror? Soggettivamente e oggettivamente propenderei per il sì.

    Infine, un mio suggerimento ai lettori per tre letture, suggestionate dalla tua mirabile chiusa:

    "Quello che ci atterrisce, secondo me, è il fatto di vedere un essere umano come noi – e che potremmo essere noi, è questo il trucco – in una situazione spaventosa vuoi perché gli è capitata tra capo e collo (-*1-l'orrore che viene dall'esterno) vuoi perché se l'è andata a cercare, vuoi perché (ahi lui) ha scoperto un lato spaventoso della realtà -*2-, ma (ohibò e ahi noi ed è questo il tavolo su cui giocava Lovecraft) è la nostra stessa realtà, vuoi perché (e queste, le storie dell'orrore interno, sono probabilmente le più efficaci) è lui stesso ad essere spaventoso e lui è proprio come noi.-*3 -

    Anche per la narrativa dell'orrore, quindi, a mio parere e come per ogni forma di narrativa, l'effetto voluto deve essere perseguito attraverso una più profonda conoscenza dell'uomo e del mondo in cui vive."

    1 -I salici di Algernon Henry Blackwood
    2 - Il ciclo dei racconti attinenti ai miti di Cthulhu, di H.P. Lovecraft
    3 - l grande dio Pan di Arthur Machen, grande maestro di Loveraft
    Grazie Roberto.

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