MIRDIN di Mauro Banfi

       

"D'ora in avanti, lo spazio e il tempo in quanto tali sono destinati a svanire come semplici ombre e soltanto una sorta di unione dei due continuerà ad avere una realtà indipendente".
Hermann Minkowski

"Essi (i Druidi) desiderano inculcare il loro principio fondamentale, che le anime non si estinguono ma passano dopo la morte da coloro che sono a coloro che verranno."
Giulio Cesare, De bello gallico.

   nemeton

Roisin e sua figlia Lexy stavano attraversando la sacra foresta dei Carnuti alla ricerca di Mirdin.
«La storia è un incubo dal quale mi devo svegliare», le aveva detto il mago.
« E allora me ne vado in letargo come un orso».

                                                        

Lexy aveva quattordici anni ormai, e dopo che il suo primo sangue tra le gambe l’aveva consacrata alla triplice Dea Bianca, aveva chiesto alla madre Roisin di diventare una Gutuater, un’apprendista della magia verde e addetta alla custodia del nemeton di Cenabum, nel cuore della foresta primordiale.
Fin da piccina si metteva a bollire decotti di sua invenzione, accarezzava gli animali del bosco e osservava  per ore le stelle e la luna.
«Sarai una delicata e potente Gutuater, signora della magia verde, mia dolce Lexy» le sussurrava  Roisin, prima di narrare le antiche storie del suo clan.
E ora la portava al nemeton di Mirdin, il mago verde, perché fosse iniziata alle sue arti.
Mirdin era stato amante di Roisin, ma lei era ora la moglie del Principe degli Averni Vercingetorix.
Giulio Cesare e i romani che abbattono le foreste con le loro strade dritte come un braccio che colpisce il volto, avevano invaso le nostre terre con i mercanti di vino e di olio, e dietro loro seguivano le legioni di quei banditi feroci, armati fino ai denti e organizzati come formiche predatrici.

                                                           

Mirdin aveva chiamato tutti i capi delle tribù e in mezzo alla sacra foresta di Cenabum aveva parlato:
«Siamo tutti in pericolo. I romani sono troppo organizzati e troppo forte è la loro magia rossa.
Non affrontateli in campo aperto o vi massacreranno».
«Non siamo codardi!» gli urlò Vercingetorix «siamo lupi d’Arvernia!» e le tribù urlarono alla luna, battendo le spade e le lance sugli scudi.
«Avventati!« li zittì Mirdin il mago, e quando lui parlava anche gli eroi tacevano.
«I vostri padri non vi hanno insegnato che non bisogna mai sottovalutare nessuno?
Guardatevi: ognuno di voi è un gigante di coraggio ma vi battete da soli come i lupi solitari. Non avete disciplina, non sapete essere come le dita della mano quando diventano un pugno.
Siete come vespe senza la regina.
Datemi retta, seguite la magia verde e quella bianca.
Nascondetevi e trasformatevi in foglie e in pietre.
Se Giulio Cesare vi osserva  e vi dà la caccia diventate invisibili!
Uscite dalla foresta, colpite e uccidete più romani che potete e tornate a nascondervi tra gli alberi.
Mordete e fuggite, per anni se occorre.
Diventate inavvertibili tranne nelle menti e nelle mani e nei piedi veloci.
Piccoli gruppi d’assalto in perenne nascondiglio e trasformazione.
Avanti così e i romani se ne torneranno ai loro templi di marmo per le loro assurde strade dritte di sasso.
Se invece volete morire prima del tempo seguite il ruggito del vostro sangue impulsivo!
Ho parlato e non ho più niente da dire.
Lasciatemi tornare al mio nemeton.
Giulio Cesare è un incubo dal quale devo svegliarmi con la magia bianca.»

I guerrieri non ascoltarono Mirdin, sconsiderati.
Pianificarono l’eccidio di tutti i commercianti romani e dei loro fiancheggiatori celti di Cenabum e la sollevazione di tutti i popoli celti dalle foreste al mare.
Il sangue avrebbe cominciato a scorrere a torrenti sulla terra.
Roisin salutò Vercingetorix che raggiungeva i guerrieri nei boschi e partì con Lexy verso il nemeton di Mirdin,.
Sapeva che doveva mettersi in viaggio per l’iniziazione di Lexy.

                     


«Mamma, che cos’è il nemeton?»
Erano arrivate alla sorgente circondata dagli Equiseti.            
Roisin cominciò a raccogliere delle verdure per preparare una minestra a base di Equiseto.
«Osserva Lexy, questo è il nemeton».
Tracciò una circonferenza sulla sabbia vicino alla sorgente naturale e puntò l’indice nella terra:
«un cerchio che ha il suo centro ovunque e la circonferenza in nessun luogo particolare» e ruotò le mani a racchiudere la foresta intera e il cielo azzurro sopra le loro teste.
Erano vicine alla rocca nella pietra di Mirdin, nascosta tra le querce e le farnie.
«Guarda Lexy, le trecentosessanta quattro finestre della casa di Mirdin.
Le sue innumerevoli finestre si affacciano sui segreti del Cosmo; le sue sette porte sono aperte ai viandanti che giungono da ogni dove per imparare le sette magie colorate e i suoi sentieri si dipartono verso i luoghi più lontani dell’universo.
Sotto il pavimento di pietra, la grotta di Mirdin è il cuore delle tenebre da cui nasce ogni giorno l’alba.
I suoi occhi profondi vedono e conoscono ogni cosa, ed essa offre a ognuno dei neofiti un diverso modo di accedere al mistero.»

                              

Le due donne s’inerpicarono lungo un ripido pendio che portava alla casa di pietra del mago verde.
Giunte alla rocca, Roisin entro sicura nell’antro contrassegnato sulla volta da un simbolo antico:
    

                        
«Ecco il sacro triskelion, Lexy, andiamo da Mirdin
Ripassiamo prima l’Ogham, il mago parlerà solo con la punta delle dita per almeno tre giorni, dopo il letargo.
E dovremo evitare di fare rumori molesti o ci tramuta in due cornacchie!
Allora amore, come ti chiami?
                                
                     

Le lettere dell’antico alfabeto muto riservato agli iniziati alla magia, corrispondevano alle punte, alle due giunture e alle basi delle cinque dita e per formare qualunque parola era sufficiente toccare sulla mano sinistra i punti corrispondenti alle lettere usando l'indice della mano destra.
                                                           

Lexy rapidamente compitò, danzando con le dita: luis-eadad-coll-saille-ibor
Roisin la baciò sulla fronte e la invitò a seguirla:
«Andiamo».
Lei era stata l’assistente di Mirdin per sette intensi e lunghi anni di passione.
Era stata iniziata alla magia verde, alla magia bianca e ai primi rudimenti di quella viola, la porta per la Quarta Dimensione.
Mirdin le aveva mostrato i cristalli spaziotemporali e stava per insegnarle l’uso quando suo fratello Duir venne preso dai romani e crocefisso nel centro del suo villaggio per brigantaggio.

                                                         

Sconvolta dal dolore abbandonò Mirdin perché voleva apprendere la magia rossa della violenza e della guerra.
Il Druido non disse una parola.
Solo qualche lenta lacrima solcò la sua guancia, nata dai suoi magnetici occhi azzurri. Appoggiato al suo bastone di nocciolo le mormorò:
«Roisin ti amo. Quando vorrai sarò sempre qua per te, per sempre.
Attenta alla magia rossa: il fuoco senza controllo consuma per primo l’incendiario. Questo vale sia per la guerra che per l’amore”.
Roisin non lo sapeva, ma Mirdin cadde nella disperazione per un lungo terribile periodo e riuscì a risollevare il suo umore solo grazie alla sua scorta di Iperico.
Roisin e Lexy arrivarono a un muro intaccato dall’umidità.
La parete era scolpita in bassorilievo con delle lettere misteriose.
Madre e figlia restarono un attimo in contemplazione della raffigurazione del sacro calendario arboreo di Mirdin.

         

Roisin tirò fuori dalla sacca una mappa del calendario arboreo che aveva redatto ai tempi della sua iniziazione e del suo apprendistato alla magia verde, bianca e viola.

                
    

L’anno lunare, composto da 13 mesi di 28 giorni, contava quindi di solo 364 giorni.
Restava un giorno intercalare, il 23 dicembre, vigilia del solstizio d’inverno, giorno nefasto perché ritenuto la “morte dell’anno” e perciò raffigurato dal tasso, chiamato “albero della morte”. Il giorno seguente, cioè il 24 dicembre, giorno del solstizio, era invece simboleggiato dall’abete rosso, chiamato “albero del parto” o “albero della vita”. Abete rosso e tasso rappresentavano anche le prime due vocali:

Ailm ( abete rosso)
Idho (tasso)

Queste due vocali aprivano e chiudevano l’anno lunare.
Le altre vocali erano adibite a simboleggiare i due equinozi e l’altro solstizio:

Onn, la ginestra, per l'equinozio di primavera,
Eadha, il pioppo bianco, per l'equinozio d’autunno
Ura, il brugo, per il solstizio d’estate.

Creato da Mirdin, il “Calendario degli Alberi” formava la sostanza dell’Ogham, o conoscenza iniziatica, ovvero quella conoscenza non scritta a cui i futuri druidi o le future gutuater dovevano sottoporsi per imparare, attraverso una unica serie di termini: l’alfabeto sacro, il nome degli alberi, il significato mistico, magico e farmacologico degli stessi, l’andamento dei mesi dell’anno e le divinità e i corpi celesti del Cosmo ad essi accumunate.
Fondato sugli alberi, l’Ogham costituiva anche un linguaggio muto che utilizzava le articolazioni delle dita, una sorta di linguaggio segreto riservato agli iniziati.
Mirdin aveva proibito la scrittura e impedito accuratamente la divulgazione di conoscenze ritenute sacre.
Il suo sapere non era per tutti ma solo per i meritevoli, per chi lo cercava chiamato da un Dio o per autentica missione e vocazione.
Il “Calendario degli Alberi” si basava sui tredici mesi dell’anno lunare, di ventotto giorni ciascuno; esso corrispondeva alle tredici consonanti i cui nomi corrispondevano a tredici alberi sacri.
Tredici erano anche i mesi in un anno per le donne, e il loro flusso mestruale era il promemoria, l’appartenenza alla suprema Triplice Dea Bianca.
Era il simbolo del loro potere: la magia rossa che si muta in bianca.

                            

Roisin lo sapeva bene: Mirdin aveva creato il calendario arboreo e il linguaggio segreto Ogham, ispirandosi alle donne, perché voleva che un giorno governassero la Madre Terra con la loro magia bianca.
Detestava la magia rossa e quella nera.
Odiava la violenza e la putrefazione.



«Voi donne dovete ereditare la Terra: solo voi sapete trasformare la magia rossa in bianca. Noi maschi arriveremo presto a distruggerci tutti con la magia nera.» le aveva detto un giorno, tenendola per mano durante il crepuscolo.


Mirdin utilizzava le piante anche per scopi magici e terapeutici e il ciclo dei 13 alberi corrispondeva alle 13 energie arboree alle quali si associavano anche elementi divinatori che operavano come geni protettori cui rivolgersi in cerca di forza, fortuna o buoni consigli.
Ora il mago verde era andato in letargo assumendo una pozione controllata e miscelata di datura e belladonna.
Roisin aveva già pronto l’antidoto a base di oppio e camellia, nella sua sacca di foglie di canna di palude.
Era il momento di risvegliare il mago dal suo letargo.
Sicura e determinata Roisin schiacciò le lettere oghamiche del nome di Mirdin scavate nella parete di roccia, ripetendole ad alta voce: 
                             
                                              

                         muin-ibor-ruis-ibor-duir-ibor-nion!

Dopo un minuto le due donne sentirono nelle viscere della terra un flusso d’acqua e poi una pietra rotonda posta alle loro spalle rotolò dentro un cursore e davanti a loro si spalancò il passaggio verso la grotta di Mirdin, il Druido verde di Cenabum.

         

Era il venti marzo, l’inizio del periodo di Onn, la ginestra.
Il giorno del risveglio del mago.
Roisin e Lexy avanzarono con cautela, tenendosi per mano, verso il cuore profondo del nemeton.
                               

                            (2)

                                                         
“Non siamo contenuti in una invisibile scaffalatura rigida: siamo immersi in un gigantesco mollusco dinamico e flessibile. Il Sole piega lo spazio intorno a sé e la Terra non gli gira intorno perché è tirata da una misteriosa forza, ma perché sta correndo diritta in uno spazio che si inclina. Come una pallina che rotoli in un imbuto: non ci sono forze misteriose generate dal centro dell’imbuto, è la natura curva delle pareti a fare ruotare la pallina. I pianeti girano intorno al Sole e le cose cadono perché lo spazio si incurva.”
Albert Einstein

                        
“I druidi univano allo studio della natura quello della filosofia morale, affermando che l’anima umana è indistruttibile”. Strabone

                         
Avanti, Bardo Corentin riassumici la prima puntata di Mirdin:

                                        
“Ci sono momenti in cui la storia chiama gli uomini all’appuntamento con il destino.
Nel 54 a.c. Giulio Cesare, sfruttando abilmente i continui litigi tra clan e tribù germaniche e celte, attaccò gli Eburoni di Ambiorix e dopo la vittoria, posizionò le sue legioni nel cuore della nazione dei celti.
I Carnuti, il popolo del potente mago verde Mirdin, custode del nemeton segreto di tutta la Gallia, levarono il grido dell’insurrezione generale e l’urlo con la rapidità del fulmine si propagò nel centro e nel sud della Gallia fino al paese degli Arverni, con la notizia dell’eccidio di molti commercianti romani e di altrettanti celti collaborazionisti avvenuto a Cenabum.
Anche gli Arverni erano oppressi dal dispotico governo di una oligarchia che con il consenso dei Romani ha deposto il legittimo re.
Il grido ribelle dei Carnuti ebbe grande risonanza tra gli Arverni, che, decisi ad abbattere il governo fantoccio e a liberarsi dalla dominazione straniera, risposero all’appello dei fratelli del nord.
Anima della rivolta era un giovane guerriero di sangue reale, chiamato Vercingetorix, che in breve tempo sollevò la regione e, presentatosi con un grande gruppo d’armati sotto le mura della capitale Gergovia se ne impadronì e fu proclamato re.
Tutte le regioni comprese tra il corso della Senna e quello della Garonna, tra l’Atlantico e il Liger, aderirono a Vecingetorix, che riunì in breve sotto il suo comando un grande esercito.
Per nulla impressionato, nei suoi quartieri invernali, l’ambizioso Giulio Cesare meditava la controffensiva.
Ora: a Mirdin il Druido non interessavano gli appuntamenti con la storia, per lui la magia rossa della guerra e della violenza sono incubi dai quali destarsi.
Lui crede nella Dea Bianca, la triplice e nelle tredici energie arboree cosmiche.
Invano suggerì ai guerrieri Carnuti e a quegli Arverni di Vercingetorix di evitare uno scontro in campo aperto con le legioni e di praticare la guerriglia nelle foreste, il mordi e fuggi come se fossero invisibili.
Roisin, sua amante al tempo della gioventù era ora moglie di Vercingetorix, perché stava seguendo la pista della vendetta.
I Romani avevano trucidato suo fratello Duir e voleva bere il loro sangue nel teschio di Giulio Cesare.
Ma ora aveva una figlia, Lexy e voleva che diventasse la prossima Gutuater della sacra foresta dei Carnuti.
Insieme, durante l’equinozio di primavera si recarono nel santo nemeton di Mirdin, affinchè Lexy diventasse una maga e fosse iniziata ai poteri di Mirdin.
E adesso, si disfi la trama e ritorni l’ordito di questa storia…ma ti chiedo lettore, c’è poi differenza?”

  in viaggio nella quarta dimensione

                                        

Roisin e Lexy risvegliarono il mago verde.
Mirdin voleva baciare in bocca Roisin ma con un cenno lei gli fece capire che Lexy, lì vicino a loro, era sua figlia, e subito dopo gli raccontò che il padre, Vercingetorix, era in guerra.
«Dimmi Roisin, in che cosa possa esserti utile».
«Voglio che Lexy sia la prossima Gutuater del nemeton».
Mirdin sorrise e insegnò tutto quello che sapeva a Lexy: le 13 energie arboree collegate agli animali, agli Dei e alle stelle dell'Universo, la cosmica medusa flessibile, contraibile ed estensibile.

                                       

Poi venne un terribile giorno.
Giulio Cesare aveva contrattaccato Vercingetorix e dopo molti scontri e tanti, troppi morti in battaglia i due comandanti si preparavano alla scontro finale presso la cittadina di Alesia, tra il popolo dei Mandubi.
Mancavano pochi giorni alla prova d’iniziazione di Lexy e Roisin decise di raggiungere ad Alesia suo marito.
Invano Lexy pianse tutte le sue lacrime, inutilmente Mirdin la supplicò di restare.
«Maledetta sia la magia rossa!» urlò Mirdin alla Luna triplice mentre Roisin svaniva tra le querce.
«Folli! Non bisogna prendere appuntamenti col destino, ma amarlo come si venera qualcosa più grande di noi!»
Strinse la mano a Lexy e davanti al fuoco le parlò della grande prova di domani.
«Lexy, non dovrai affrontare la prova dell’acqua e tuffarti da una cascata per recuperare un anello d’oro nel laghetto.
Quella è la prova dei mercanti.

                                                                             

Non dovrai affrontare la prova del fuoco o quella dell’aria o quella della terra. Non dovrai saltare la fossa incendiata o salire sulle montagne innevato a prendere l’uovo dell’Aquila Reale.
Non dovrai andare nella sacra grotta dell’Arco nella Roccia per uccidere un orso tra i dipinti antichi dei primi Druidi.
Queste acrobazie sono per i guerrieri.
Dovrai viaggiare nella Quarta Dimensione.
Dovrai imparare che lo Spazio non è separato dal Tempo come il Corpo non è separato dallo Spirito.
Questo è il fondamento della magia viola e la base di quella verde e bianca.»

Lexy era bellissima, rivestita nella tunica porpora della neofita.
Scesero antichi gradini verso il fondo del nemeton e Mirdin la teneva per mano.
Poco distante balenava una fioca luce azzurrina.
Piano piano gli occhi di Lexy si abituarono al buio e la ragazza mise a fuoco una visione incredibile.
Sospesa a mezz’aria ruotava una scatola magica trasparente che voltava ad ogni angolo e si rivoltava in aria come un guanto.
Ogni suo lato era grande come la porta di una capanna.

                                                                       
« Questo è un cristallo spaziotemporale, Lexy, io lo chiamo l’ipercubo.
Lo vedi quel piccolo buco nero al suo interno, grande come il coperchio di una botte per il vino?»

                                             
                                                      
Lexy non riusciva a parlare a causa dei prodigi a cui stava assistendo.
«Quella è una stella che è esplosa e si è ritirata dentro se stessa.
Collassando ha aperto un varco nello spazio-tempo ed ora è lì che ti stai dirigendo, Lexy, sei pronta?»
Lexy riuscì solo ad annuire.
«Dentro quel buco noi possiamo viaggiare tra le dimensioni del Tempo, bimba mia.

                                                                                

Il tempo è il terreno sul quale cresciamo e una volta che siamo fioriti ai bordi di quell'abisso possiamo andare Oltre, insieme.
Penso al continuum spaziotempo come a un sistema di autoperfezionamento multidimensionale in cui tutto ciò che è, è mai esistito o potrà accadere, si verifica simultaneamente.
Siamo immersi in una cosmica medusa, che si può schiacciare, stirare e storcere, e costituisce lo spaziotempo intorno a noi.
Ricordati: quando sarai dentro al buco nero dovrai solo seguire la mia voce, il filo del mio racconto e supererai la prova».
Detto questo, si portò dietro di lei e la spinse gentilmente dentro il buco nero.
«E ora, è tempo di saltare, Lexy.»
Lexy precipitò nell’abisso, urlando.
Poi cominciò a sentire le parole di Mirdin e cominciò a calmarsi, ascoltandole.
Le sembrò di volare come un albatro sopra la costa della Bretagna, era fuori e dentro, nel contempo, nella storia chiamata…                                                
           
                
                                              

Duir era un giovane pescatore bretone che viveva su un’isola in cui tutti andavano a pesca, Lexy.
Viveva solo, senza genitori, senza moglie e senza figli per aiutarlo, riuscendo a mantenersi da sé e a risparmiare un po’ di denaro per le offerte al tempio di Teutates e per le feste.
Un tardo pomeriggio, mentre camminava lungo la spiaggia, Duir vide alcuni ragazzi che giocavano con una piccola tartaruga. Il gioco consisteva nel colpire con un bastone il guscio dell’animale finché esso riusciva a spezzarlo e ad afferrarlo, dopodiché rivoltavano la tartaruga sul dorso.
Il gioco era molto divertente – per i ragazzi – finché non arrivò Duir infuriato.
«Che state facendo con quella piccola tartaruga, ragazzi?».
«È la nostra tartaruga… l’abbiamo catturata».
«State cercando di allevarla, o che altro?».
«È nostra. Non sono affari che ti riguardano».
«Mi sembrate dei commercianti: avete intenzione di venderla?».
Duir aveva soltanto alcune monete, ma non ci volle molto per invogliare i ragazzi. Dopo un attimo stavano correndo verso il villaggio, mentre Duir si dirigeva verso l’acqua. Vi immerse la tartaruga dicendole alcune parole gentili, dopo di che tornò a casa per cucinarsi un pesce per la cena.
La mattina seguente, Duir stava pescando come di consueto, quando udì una voce che lo chiamava per nome. Si era trovato da solo in mare abbastanza spesso per sapere che non è normale sentir chiamare il proprio nome quando non c’è nessuno intorno. Allora disse: «Chi è là?» con voce tranquilla.
La chiamata si ripeté, e questa volta Duir vide una grande tartaruga marina a una certa distanza dalla sua barca.
«Duir, sei convocato al Palazzo del Drago. Abbi la compiacenza di salire sul mio dorso».
«Chi sei tu? Che cos’è il Palazzo del Drago?».
«La regina Drago è riconoscente perché ieri hai salvato quella piccola tartaruga. Ha mandato me, che sono un suo parente stretto, per invitarti al Palazzo del Drago a ricevere i suoi ringraziamenti».
«Non ce n’è assolutamente bisogno. Digli che sono stato felice di aiutare una creatura così piccola. Apprezzo anche la tua premura nel venire a cercarmi. Grazie».
«Per me sarebbe una cosa molto imbarazzante tornare senza di te. Cerca di considerare in che posizione mi trovo».
Duir  non era esperto di faccende regali, ma era facile vedere le difficoltà che la cosa avrebbe provocato. Così accettò di salire sul dorso della tartaruga, anche se era ancora preoccupato di come avrebbe fatto a respirare una volta che la tartaruga si fosse immersa sotto la superficie.

                                

Questa preoccupazione lo abbandonò molto presto. Non appena aprì gli occhi, fu completamente sopraffatto dalla bellezza del mare. Per tutto il tempo che aveva passato su una barca in superficie, non si era reso conto di come il tonno e lo sgombro e il merluzzo sembravano nuotare liberi. Il fondo era coperto di coralli, anemoni, stelle marine, granchi e tante conchiglie e crostacei che non era in grado di riconoscere. Allora vide che la tartaruga marina lo stava portando verso qualcosa che sembrava un gigantesco cancello di corallo.
La struttura risultò essere proprio un enorme cancello di corallo. Le guardie sembravano essere in attesa della tartaruga e la fecero fluttuare attraverso il cancello. Il palazzo che si trovava al di là di esso era più grande e intricato di qualsiasi cosa Duir potesse comprendere o anche solo immaginare.

                          


Il palazzo nel mare, Lexy, era proprietà della potente Dea dell’Oceano.
Lei si era innamorata di Duir per il suo atto di generosità e anche lui s’innamorò a prima vista della sua indicibile bellezza.
Visse beatamente tra le sue braccia e le inenarrabili ricchezze del Palazzo del Drago per tre anni, quando un giorno lo assalì la nostalgia di rivedere casa sua, i genitori e i fratelli e chiese alla Dea di lasciarlo tornare a casa, promettendo all’amata di tornare presto.
Lei lo abbracciò forte e lo baciò.
«Va bene, non si può imprigionare il cuore. Ma prima di partire accetta un mio dono, e promettimi che non te ne separerai mai e non cercherai di vederne il contenuto.»
Dopo un istante mandò le sue ancelle delfini a fare i preparativi per il suo ritorno. 
Camminarono in silenzio un’ultima volta verso il grande cancello di corallo, e non appena Duir fu salito sulla tartaruga, la principessa gli porse un lucido cofanetto incastonato di pietre preziose, strettamente legato con una corda rossa.
«Non dimenticarti di me, Duir.
Conserva sempre questa scatola vicino a te e non aprirla mai. Questa ti farà sempre ricordare di me. Non dimenticarmi!».
Duir s’ inchinò e la ringraziò più volte. La tartaruga si avviò, ma si mosse più lentamente di quanto lui avrebbe voluto, finché il palazzo non sparì in lontananza.

Poi però la sua vista si annebbiò e ben presto si ritrovò sulla spiaggia della sua isola natale in Bretagna.
Pensò che fosse la sua isola… riconobbe le rocce che davano sul mare aperto, la curva della spiaggia e il tempio di Teutates non molto lontano.
Ma gli altri edifici vicino al mare non erano quelli che conosceva e molti erano completamente diversi da qualunque cosa avesse mai visto, non splendidi come il Palazzo del Re Drago, ma comunque in certo qual modo strani.
La sua capanna si trovava vicino al tempio, ma non c’era più.
Dopo un certo periodo di confusione, decise di chiedere a una vecchia che stava lentamente discendendo il sentiero nella sua direzione.
«Buongiorno, posso farvi una domanda? Stavo cercando la casa del pescatore Duir».
«Buongiorno. Che bel vestito che avete, straniero. Il pescatore Duir?
Quando ho sentito l’ultima volta questo nome? Mia nonna mi ha detto che sua nonna le disse di aver sentito la storia di un certo pescatore Duir, che visse proprio su quest’isola… quando?… circa trecento anni fa.
Un bel giovane, che però scomparve nel mare mentre era a pesca.
Tutti pensavano fosse annegato.
E’ strano che tu chieda di lui dopo tutto questo tempo.
Mi sembra di non averti mai visto prima… dove abiti? A mia nipote piacerebbe incontrare un bel giovane, ma non ne capitano spesso su questa isola».
Non aveva ancora finito di rispondere, che Duir la ringraziò e tornò alla spiaggia. Trecento anni!
Aveva abbandonato la sua casa per il Palazzo della Regina Drago, e aveva abbandonato la Dea dell’Oceano per… che cosa?
Si sedette sulla sabbia e pensò alla sua casa, ma si rese conto che neppure la più veloce delle tartarughe avrebbe potuto riportarvelo ormai.
Tirò fuori il suo lucido cofanetto nero e ricordò la gentilezza della regina Drago, che gli avrebbe dato qualunque cosa le avesse chiesto.
Nel palazzo non c’era quello che desiderava, la nostalgia per il suo tran tran quotidiano, ma anche quell’isola non aveva più niente per lui; forse la scatola conteneva qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo.
Con difficoltà sciolse la corda rossa e alzò il coperchio.

                               


All’interno non c’era altro che una nebbia bianca, che si sollevò lentamente nell’aria.
La inspirò e sentì l’odore della stuoia nella sua capanna, il vento salmastro delle tempeste a cui era scampato, i pesci che aveva pulito, il vino che aveva offerto a Teutates… la scatola conteneva i trecento anni che Duir aveva perso, e quando li ebbe inspirati, diventò un uomo molto vecchio.
In pochi istanti i suoi capelli diventarono bianchi, il viso gli si coprì di rughe e il corpo divenne decrepito, finché egli cadde, morto, sulla spiaggia solitaria.

«E ora dimmi Lexy» la voce del mago risuonava oltre le gallerie intrecciate nello SpazioTempo «rispondimi se vuoi superare la prova e tornare da me nel nemeton, perché Duir ha sbagliato ad aprire la scatola della regina Drago?»
Lexy ruotava e si rivoltava nelle giunture del Tempo come l’ipercubo azzurrino e si sentiva persa nelle dimensioni e nello stesso tempo si trovava accovacciata in quella spiaggia bretone ad accarezzare il capo del povero Duir spirato.
Ad un tratto rispose:
«Il tempo della nostra vita fugge tanto più veloce quanto meno forte e denso è il nostro centro di gravità spirituale e esso invece fluisce più lento e meno rapace quanto più la nostra vita gli oppone una forza centripeta, un nucleo centrale di valori, un significato intorno al quale la nostra esistenza possa raccogliersi e avvolgersi…»
«come un filo intorno a un fuso. Hai superato la prova Lexy, vengo a prenderti.»
Lexy vide Mirdin arrivare dal tunnel spaziotemporale con una mano tesa.
L’afferrò per le spalle e la riportò nella grotta dei cristalli spaziotemporali, nel nemeton.
Appena arrivati le donò un fuso carico di filo rosso.
                   


Ora era anche lei una maga verde, bianca e viola, la futura gutuater del nemeton segreto celato nella foresta dei Carnuti.
 Eppure il primo pensiero di Lexy fu per sua mamma Roisin, in pericolo, nella battaglia di Alesia.     

                                   (3)

                                                               
“Prolungandosi l’assedio di Alesia, e già cominciando a mancare il frumento, Vercingetorige cacciò fuori dalle mura gli anziani, le donne e i bambini. sperando, ma invano, che sarebbe accaduta una di queste due cose: o che tale moltitudine di bisognosi sarebbe stata salvata dai Romani o che i suoi soldati (se Cesare avesse lasciati andare liberi quei disperati nelle foreste dietro le fortificazioni del suo accampamento) avrebbero potuto sfamarsi meglio.
Ma neppure lo stesso Cesare abbondava di grano e così decise di rimandare indietro a bastonate tutta quella povera gente; e così avvenne che queste persone, non essendo accolti e soccorsi né dalla propria gente e né dai Romani, morirono orribilmente nella terra di nessuno tra Alesia e le fortificazioni romane.”

Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XL, 40, 2-4.                  nella terra di nessuno    





                     
        


«E ora, bardo Corentin, devi narrare, per introdurre la terza puntata di “Mirdin”, gli avvenimenti della battaglia di Alesia»
«E no, Mauro, non ho nessuna voglia di ricordare quelle atrocità per le tue brame da scribacchino, e no!»
«Attento, Corentin, ti faccio svanire all’istante e ti sostituisco con un altro personaggio, eh?»
«Voi autori siete sempre dei prepotenti, ma ricordatevi che esiste un Autore più potente di voi e che un giorno toccherà a voi sparire.
Guarda, lo faccio solo perché mi piace ricordare la dolce Roisin…e allora…in breve, 
Giulio Cesare, con la sua velocità di decisione e la macchina efficiente e letale delle sue legioni, intrappolò Vercingetorix e la sua armata dentro le mura di Alesia, la città dei Mandubi e cominciò a prenderli per fame.




Si racconta che, passato un mese dall’inizio dell’assedio di Cesare, era stato consumato tutto il frumento ed erano stati uccisi e divorati tutti gli animali di Alesia, e allora Vercingetorix riunì un consiglio per valutare la situazione ed il da farsi. 
Al termine di questa riunione, Vercingetorige e l'intero Consiglio stabilirono che tutti quelli che per età o salute non erano adatti alla guerra, uscissero dalla città
Decisero, pertanto, di costringere le donne, i bambini e i vecchi ad uscire dalla cittadella fortificata nella speranza non solo di risparmiare cibo per i loro soldati, ma che Cesare potesse accoglierli nelle sue fortificazioni, per poi lasciarli andare liberi. 
Per nulla impietosito il proconsole ordinò ai suoi legionari di respingerli dai bastioni a colpi di mazza, i bastoni massicci usati per spezzare le gambe ai crocefissi.
Ognuno dei due capi militari cercava lo svantaggio dell’avversario cercando il proprio vantaggio, a qualunque costo.
Questa è la guerra.
I disperati tornarono verso le mura di Alesia ma nessuno dei soldati celti aprì loro le porte della cittadina sul colle.
Tra loro c’era Roisin, che aveva litigato con il marito Vercingetorix e aveva preferito andarsene con i profughi, piuttosto di restare con dei vigliacchi come lui e i suoi guerrieri.
Qualche anziano e qualche bambino cominciò a morire di fame e di sete tra le mura della città di Alesia e le linee fortificate romane, nella "terra di nessuno". 
Roisin gridava insulti irriferibili in direzione di Vercingetorix e i soldati sugli spalti di Alesia.
       



Mirdin e Lexy invece piangevano nel profondo del nemeton.
«Non c’è tempo da perdere, Lexy, vieni, andiamo alla trottola!»
Mirdin aprì una vecchia porta di legno di quercia e poi, seguito da Lexy, salì una scala a chiocciola che li portò su un balconcino di pietra.
Lexy guardò di sotto, dove le indicava Mirdin e vide un altro cristallo spaziotemporale incredibile!
                                                                                     
        
              
Si trattava di un’enorme trottola che ruotava a velocità pazzesca.
«Ora Lexy mi getterò in quel vortice spaziotemporale che aprirà, con la mia forza mentale e spirituale, un varco ad Alesia.
Posso prendere con me solo una persona nel viaggio spaziotemporale e salverò quell’incosciente di tua mamma, la persona dal cuore più grande che abbia mai conosciuto.
Tu dovrai aiutarmi, bimba mia.»
«Sono pronta, Mirdin».
«Dovrai continuare a cantare quella canzone che ti ho insegnato per il tuo diciottesimo compleanno, la ricordi? Bene.
Ora devo concentrarmi in modo assoluto, cara mia, ti chiedo di fare il più totale silenzio.
Come vedi, alla massima velocità di rotazione, la circonferenza della trottola appare immobile come quella di un cerchio fermo, vale a dire ogni punto sulla circonferenza della trottola coincide con un punto fisso di una circonferenza in quiete.
Io dovrò lanciarmi esattamente nel mezzo della rotazione, lì dove ogni successione circolare viene annullata e in ogni punto le mie particelle corporee si diffonderanno in tutti i punti dello spaziotempo; in quel particolare momento del tempo vengono racchiusi infiniti momenti.
Quel centro in rotazione racchiude l’eternità, Lexy.
Quell’istante di tempo può dilatarsi fino a essere la compresenza simultanea di un numero infiniti d’istanti e così mi aprirò un varco fino ad Alesia.
Ma se sbaglio a infilare quel cunicolo spaziotemporale, le mie particelle verranno frammentate e sparpagliate in migliaia di dimensioni e non ci sarò più.
Ora vado Lexy, non aver paura. Roisin m’aspetta.
Ricordati, appena scomparirò nella trottola comincia a cantare».


                                          

Mirdin salì in piedi sul balconcino e s’immobilizzò tenendo il braccio destro sul fianco e quello sinistro, che stringeva il bastone della magia verde, teso in avanti.
Grosse gocce di sudore cominciarono a imperlargli la fronte a testimonianza dello sforzo al quale stava sottoponendo la sua volontà:
«Onnipotente Lugh, Signore della magia verde, accetta la mia preghiera…e tu Brigit, figlia di Daghdna, possente triplice Dea Bianca, Signora della notte, illumina il tuo servo e anche tu…onnipotente e oscuro Donn, Signore del Tempo e del Senza Tempo sorreggimi nella prova!»
Proferite queste formule sacre, dalle labbra di Mirdin prese ad uscire una misteriosa materia biancastra che, dopo essere rimasta sospesa nell’aria come una normale nuvola di fumo, cominciò lentamente ad assumere una forma indefinita per poi compattarsi qualche istante dopo in una lancia affusolata.
In un lampo l’asta svanì nel centro della trottola.
Lexy cominciò a cantare.

Alesia 52 a.C.
La scena era straziante.
Un cumulo di donne e anziani e bambini spirati contro le mura di Alesia, come animali strangolati e buttati in un forno a cuocere.
Mirdin tirò un sospiro di sollievo notando che Roisin e una bambina di tre anni, che cullava teneramente cantando, erano le uniche sopravvissute tra quei freddi corpi inerti.
Stava per andare a prendere Roisin ma si arrestò.
Si stava rendendo conto che non avrebbe potuto prendere con loro anche la bimba e dentro di lui montò una rabbia sorda.
Fu allora che da lontano lo vide.

                            

Giulio Cesare, l’invasore, l’ambizioso spietato proconsole genio della guerra.
Preso dall’ira andò verso i bastioni romani e ben presto fu bersagliato dalle frecce e dalle corte lance romane.
Le armi attraversavano il suo corpo sottile immateriale.
Si portò a pochi metri dal condottiero romano e notò che aveva sguainato la daga senza alcun timore per il suo prodigio.
Si fermò a pochi metri e cominciò a urlargli:

«Giulio Cesare! Assassino!
Il romano è come un serpente che si mangia la coda per vivere.
E la coda diventa sempre più corta. Le nostre usanze sono diverse dalle vostre.
Noi non viviamo bene nelle vostre città, che sembrano un'infinità di nere verruche sulla faccia della terra. La vista delle città dei Romani fa male agli occhi dell'uomo celta, come la luce del sole che colpisce gli occhi di chi emerge da una grotta buia.
Nelle città dei Romani ci si sforza sempre di superare in velocità una valanga.
Il rumore sembra perforare le orecchie.
Ma che senso ha vivere se non si riesce a sentire il verso solitario del tordo o il gracidare delle rane di notte intorno ad uno stagno?
Ma io sono un Druido, un mago verde e non capisco.
Io preferisco il vento che dardeggia sulla superficie di uno stagno e il profumo del vento stesso, purificato da uno scroscio di pioggia a mezzogiorno.
L'aria è preziosa per noi celti, perché tutte le cose condividono lo stesso respiro; gli animali, gli alberi, e l'uomo, partecipano tutti dello stesso respiro.
Il romano non si preoccupa dell'aria fetida che respira.
Come un uomo malato che ormai soffre da molti giorni, è insensibile al tanfo.
Tutte le cose sono collegate. Tutto ciò che accade alla terra accade ai figli e alle figlie della terra. L'uomo non ha intrecciato il tessuto della vita; ne è solamente un filo.
Tutto ciò che egli fa al tessuto, lo fa a se stesso.
Tutto il male che hai fatto, Cesare, ti ritornerà indietro e ti seguirà, passo dopo passo, come se conoscesse già da secoli la strada.»

Detto questo in perfetto latino se ne andò.
Giulio Cesare rincuorava i suoi legionari sbalorditi, dicendo loro che si trattava solo di un inoffensivo sortilegio dei Druidi.
Ad ampie falcate Mirdin si avvicinò a Roisin e preparò la sua pezzuola di lino imbevuta di canfora e oppio.
«Mirdin! Salvaci…»
Roisin non riuscì a terminare la frase perché venne subito narcotizzata dal mago, che delicatamente pose sotto le sue narici la pezza.
La bimba, ormai agonizzante, sembrava dormire.
Mirdin, estrasse dalla tasca un veleno che dà una dolce morte senza dolore e lo somministrò alla sventurata, mentre piangeva e cantava la canzone che stava cantando anche Lexy.
Poi, sugli spalti di Alesia vide Vercingetorix.

                                     

Appariva distrutto moralmente e fissava i morti sotto le mura con uno sguardo senza vita.
E mentre la bambina veniva presa nella culla del cielo dalla Dea Bianca, la triplice misericordiosa, Mirdin si scagliò contro quello che restava di quel comandante:

«Vercingetorix, sei un codardo!
Nemmeno i Romani si sarebbero macchiati la coscienza dei tuoi crimini!
Un soldato romano non lo avrebbe mai fatto contro i suoi concittadini, se non altro per l’ignominia che avrebbe accompagnato per sempre la sua vita.
Un capo deve essere al servizio dell’ultima persona del suo popolo!
Dovevate morire fino all’ultimo uomo per difendere gli anziani, le donne e i bambini e invece siete dei codardi!
Tu sei già morto in vita, Vercingetorix, consegnati a Cesare, sei il suo schiavo ormai.»
Dopo aver urlato queste parole Mirdin prese nelle braccia il corpo sedato di Roisin, infilò il varco spaziotemporale e ritorno da Lexy, al nemeton.


                                   

                  (4)



“ I druidi, uomini di intelletto più elevato, e uniti all’intima confraternita dei seguaci di Pitagora, erano immersi in indagini su cose segrete e sublimi, e senza curarsi degli affari umani, dichiaravano che le anime sono immortali”.
Ammiano Marcellino
      
    IL GRIDO DI MIRDIN
 


Nell’antica foresta di Brocelandia, nella piccola Bretagna, sulla cima di una collina, c’era una sorgente circondata da noccioli, equiseti, e da elevati e frondosi cespugli di biancospino.
Vicino alla fontana, campeggiava un cartello, recante la scritta, dipinta in caratteri azzurro turchese e verde smeraldo: “ Chi beve questa pura acqua, rientra in se stesso”.
In mezzo al piccolo altipiano, svettava il Nemeton, dimora di Mirdin l’incantatore: il consigliere di Re, Principi e guerrieri.

              

Intorno alla piccola rocca di pietra, conosciuta ora come l’Esplumoir, il luogo della mutazione, il Mago aveva appeso a quattro enormi querce, dai rami che s’innalzavano fino al cielo, delle Arpe Eolie.
Queste sono strumenti a corda che, se sfiorati dal vento, o dai passi d’inopportuni visitatori non animati da buone intenzioni, emettono strane armonie, dette dal mago “Melodie d’avvertimento”.
Mirdin stava seduto nella Stanza Segreta dell’Alta Torre e contemplava dall’alto la massa di vegetazione della Foresta Azzardata, i giochi e le corse fulminee dei cinghiali, delle volpi, dei falchi e d’altre bestie selvatiche.
Da quella piccola finestra, ascoltava la sua Voce interiore che gli era stata restituita dall’acqua della fontana e dalle cure di Roisin, la sua apprendista.
Ascoltando la sua unica Voce, osservava dalla finestra e nei lucenti riflessi di un pesante cristallo, posto sul suo tavolo di quercia, i segnali del Cosmo divino e del mondo, il nostro microcosmo devastato e insanguinato.

                    

Cominciò a sfogliare il Libro Nuovo, posto su un leggio, accanto al tavolo.
“A che serve conquistare il mondo intero, se poi perdi la tua anima?”.
Poi prese a ridere con tutta l’aria dei suoi polmoni, e la lunga barba brizzolata ondeggiava su e giù, qua e là, tra le pareti di roccia della Stanza Segreta del Nemeton.

       

Sotto l’Alta Torre, Roisin, la donna amata da Merlino , voleva ad ogni costo
impadronirsi degli ultimi segreti della magia viola e dei cristalli spaziotemporali: stava per operare un potente incantesimo.
La sera prima gli aveva chiesto, appena finito di fare all’amore, con ardente passione, a malapena confinata nei suoi eleganti e magnetici occhi verdi:
« insegnami come, senza catene né sbarre d’acciaio, io possa imprigionare un uomo, unicamente con la magia e in modo tale che non possa mai fuggirmi, se non decido IO di liberarlo.»
«Questa è magia rossa, Roisin, sai quanto sia pericolosa.
Ma dopo questi secoli non me la sento più di negarti le mie ultime conoscenze»
Quanto tempo era passato dall’orrore di Alesia?
Quanti letarghi, quante pozioni della longevità, quanti viaggi nella quarta dimensione.
Lexy era ancora la segreta Gutuater della foresta degli antichi Carnuti, la maga Invisibile.
Lui e Roisin lo erano della foresta di Brocelandie, ma niente dura in eterno, solo la terra e le montagne.
Era tempo per Mirdin di passare oltre e Roisin sarebbe stata la sua erede.
Veniva l’era della triplice Dea Bianca ed era tempo di passare il bastone della magia alle donne.
Quell’inverno non sarebbe andato in letargo, e non avrebbe bevuto la pozione di equiseto.
Era tempo di divenire.
Non aveva paura: aveva sempre saputo, fin da bambino, di essere solo un filo del Grande Ordito del Cosmo.
Era sempre stato più coraggioso del più feroce guerriero arverno.
Non apparteneva a se stesso ma a Lui, all’Oltre il Contesto dell’Ego.
In seguito alle sue istruzioni, Roisin piantò intorno al perimetro della Torre, una fitta ed elevata siepe di biancospino.
                      

Era una splendida mattina di Aprile: una bellissima giornata assolata, sovrastata da un cielo azzurrissimo.
Gli estesi arbusti erano tutti ricoperti di piccoli ombrelli bianchi, i profumati fiori e trapunti di minuscoli frutti rossi.
Viviana prese un lungo velo bianco, filato da una vergine, e lo avvolse intorno al cespuglio di biancospino.
Usando le formule esoteriche che il Mago le aveva insegnato, camminò nove volte intorno all’ampia siepe, dentro un cerchio ermetico che lei stessa aveva tracciato.
Sussurrò per altre nove volte le parole magiche necessarie, e se il celebre e potente incantatore Mirdin, non fosse sceso in fretta dall’Alta Torre, sarebbe rimasto imprigionato lì dentro per l’eternità.
Quella dimora di pietra, la siepe di biancospino ricamata di bacche rosse vermiglio, Roisin e il suo focoso e scalpitante amore diventeranno il suo estremo Sepolcro.
Ma per quale motivo, dovrebbe uscire?
Per quale senso recondito, dovrebbe sciogliere l’incanto?
Per trasformarsi anche lui in uno di quei nuovo boriosi cavalieri, assetati di ricchezze e conquiste, nuovi Giulio Cesare o Vercingetorix sospinti perennemente per il pianeta a cimentarsi in avventure e soprusi che non hanno mai fine, in una monotonia meschina e limitante quanto il cerchio ermetico che la maga Roisin ha tracciato intorno alla base rotonda dell’Alta Torre, per ghermire le ultime conoscenze della magia viola ?
Mirdin allentò la tensione delle spalle e reclinò il capo sul petto.
Si appoggiò sul suo ampio letto e cominciò  parlare ad alta voce:



« Io non ho paura della metamorfosi, perché mi ricordo le mie prime quattro vite anteriori.



Nella prima sono stato un cervo e ho conosciuto il peso di un palco di corni a ramaggi e mi sono battuto per la mia femmina nelle stagioni degli amori, spostandomi veloce con le mie agili zampe; ho imparato a fuggire l’approssimarsi dei lupi, a individuarne le orme, a scavarmi rifugi sicuri.


Nella seconda sono stato un orso: ho convissuto con un corpo ingombrante, sotto una folta pelliccia e ho abitato luoghi inaccessibili e solitari, spelonche piene di colonne di ghiaccio, costoni rocciosi dove si infittivano i rovi.
Sono stato cacciato dagli uomini e mi sono deliziato col miele delle api.


Sono stato anche un’aquila di mare: ricordo onde e scogli, trasvolate da isola a isola, burrasche terribili da non poter prendere il volo, e doversene stare al riparo dietro gli scogli.
Ho conosciuto la gioia del volo, la mancanza di peso, la sfida alla legge che fa precipitare chi sale troppo vicino al sole.


Nella penultima vita sono stato un salmone, e ho vagato per gli oceani.
Sono stato rapito da un istinto possente e un misterioso senso d’orientamento mi ha guidato come una stella tra le correnti.
Ho seguito i miei simili, venuta la stagione della riproduzione, verso la foce del fiume dov’ero nato.
Ho cominciato a risalirlo, minacciato dagli attacchi delle aquile di mare e poi dai grandi orsi pescatori che mi tendevano agguati ai balzi delle cascate.
Infine il mio corpo composto di squame grigie si è colorato di un bel rosso fuoco e sono morto nelle sorgenti del fiume della mia nascita, dopo aver fecondato le uova di migliaia di altri figli dell’Oceano.
L’anima di Mirdin è stata una canna che cresce in riva ai torrenti e ha imparato a chinarsi flessibile per specchiarsi nell’acqua; è scesa in una rosa e ha provato quanto splende e quanto finisce presto la bellezza; è stata anche uno spuntone di roccia, che ha resistito a tempeste di pioggia e di neve e ai raggi a picco del sole estivo.
Tutto intorno a noi è anima, tutto…una mosca, un topo, un’ortica, un sasso, un coltello, un ghiacciaio.
No, non ho paura della mutazione, e sia.»

Si sistemò un cuscino, imbottito di piume di falco, dietro la nuca e si coricò a riposare.

Ma non smise di parlare ad alta voce:
«Nella misura un cui il mondo materiale è conquistato, la sua Anima viene dimenticata…
Cavalieri, cosa state facendo alla nostra cara, vecchia e sempre nuova, mamma Terra?
Dite di volerla sicura e ordinata e giusta, e invece la saccheggiate, la violentate, la scavate e la incendiate e le succhiate le midolle fino all’esaurimento!
Branco di demòni! Il destino del mondo non è nelle vostre mani, tracotanti scimmie accecate dal potere, ma in Quelle di chi immagina e crea, di chi porta rispetto ad ogni creatura, e soprattutto, di chi ama.
Io, per esempio, non sono il potente stregone che credete.
Sono il più grande degli sciocchi, perché amo qualcun altro più di me stesso, e ho insegnato alla mia amata come legarmi a lei, e ora nessuno può liberarmi.
Vieni, Foresta Azzardata, accoglimi, inghiottimi dentro i tuoi alberi!
Io mi ritiro dentro me stesso, nella pace, nel silenzio della naturale magia…
Io non sono nato per salvare il mondo o per giudicare o comandare i miei simili.
Sono nato per capire qual è il mio posto nel gioco della vita.
Sono venuto al mondo per entrare nella dimensione del Senza Tempo, nell’estasi di questa siepe di biancospino che fiorirà per sempre.
Per perdermi nell’amore di Roisin che mi scalderà il cuore in eterno, per svanire in quest’esplumoir che mi avvolgerà, come il mio mantello, all’infinito, con la sua ben nota serenità d’ogni giorno, calma ed equilibrata.
Ricordatevi: noi siamo solo immagini, noi siamo tutti un solo sogno, noi siamo un’unica Anima del Mondo e del Cosmo.»

E s’addormentò. 

Roisin, sotto all’Alta Torre, in una nube di bianchi fiori, intonò un canto di gioia e di ringraziamento alla resa del Mago.


Ai suoi piedi, un serpente s’attorcigliò, nel suo ultimo sonno, prima di svegliarsi dal letargo.

Dalla Foresta Azzardata si levò un sovrumano, agghiacciante grido:
Era lo spirito indistruttibile di Mirdin.
«Ascoltate solo la vostra Voce, QUELLA INTERIORE !»






                                                            FINE





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