Colloquio Eterno di Mattia Panz


Appena entrato nell’ufficio del capo, Fred si era trovato di fronte un vecchio uomo, vestito completamente di bianco e con una bizzarra pettinatura per l'età che mostrava, una cresta argentata. Stava fissando, fuori dalle grandi vetrate del suo ufficio, quel cielo arancio e rosso.
«Buongiorno signor...» disse Fred per attirare l’attenzione.
Il vecchio si voltò lentamente, Fred si sorprese nel vederlo camminare scalzo verso di lui, ma quello che ancor più lo colpì fu il tatuaggio nero che sbucava dai pantaloni bianchi e disegnava degli artigli stilizzati sul dorso dei piedi.
«Lu, chiamami pure Lu» l’uomo allungò la mano verso Fred, che notò l’estensione del tatuaggio anche sulle mani.
«D’accordo sig... Lu» rispose timidamente, ricambiando il gesto e si accomodò sulla sedia davanti alla scrivania. Lu invece si sedette sul suo comodo trono di pelle scura dallo schienale altissimo dietro al tavolo.
«Non tutti hanno la fortuna di passare per il mio ufficio. Di solito ricevo soggetti molto più influenti di te» disse Lu esaminando scrupolosamente anche la minima reazione di Fred, «con questo non voglio dire che tu sia una mezza sega, sia ben chiaro altrimenti col cazzo che saresti qui» aggiunse.
«Certo» rispose timidamente Fred, sorpreso dalla colorita espressione usata, «la capisco benissimo.»
«Quand’è che sei arrivato da noi?» chiese Lu, accarezzandosi il mento.
«Il primo gennaio duemilatredici.»
«Anno nuovo, vita nuova o per meglio dire esperienza nuova.»
«Sì, esatto.» Fred non riusciva a capire se era una battuta alla quale ridere o se era una presa in giro.
«Quanto hai atteso nella hall, in fila con gli altri?» Lu si staccò dallo schienale e iniziò a piegarsi in avanti verso Fred.
«Molto, ma non saprei quanto con precisione, non ho con me né orologio né cellulare.»
«Meglio per te, Freddy, quella merda di tecnologia crea dipendenza lo sai?»
«Sì. Mi capita spesso di cercare nelle tasche il mio cellulare, anche se so di non averlo.»
«L’influenza di questo posto… è normale.» lo rassicurò Lu, tornando a distendersi nuovamente sulla sua sedia.
Una pausa muta tra i due. Fred, intimorito dal suo interlocutore, faceva vagare nervosamente lo sguardo in giro per la stanza.
«Ti vedo teso, non dovresti esserlo, non fa bene né al corpo né all’anima.»
Fred si chiese di nuovo se quello era il senso dell’umorismo di Lu, «Mi scusi» disse abbassando il capo.
«Cazzo Freddy, non scusarti quando non serve.»
Fred stava per chiedere nuovamente scusa, ma si fermò.
«Ti capita mai di usare la parola “cazzo” come intercalare, Freddy?»
«Qualche volta.»
«Io la pronuncio da così tanto tempo che non ci faccio più caso» Lu scosse la testa, in segno di rammarico, «ho iniziato quando sono arrivato qua, prima di allora neanche sapevo esistesse una parola del genere». Rimase in silenzio per qualche attimo, pensando al passato, poi tornò a spingersi verso Fred.
«Tornando a noi, ti ho fatto chiamare per un motivo ben preciso, però prima vorrei conoscerti un po’ più a fondo. Come saprai, siete così in tanti che un’eternità non basterebbe per conoscervi tutti, però mio caro Freddy, hai attirato la mia attenzione, penso tu valga più di molti altri.»
«La ringrazio, ma non so cosa abbia fatto per attirarla.»
«Che cosa facevi prima di arrivare qua da noi?» chiese Lu, come se volesse cambiare argomento.
«Consulenze… Una specie di consulente tributario…» Fred preferiva rimanere sul vago, anche se era sicuro che Lu avesse già letto il suo fascicolo.
«Un bel lavoro di merda, vero?»
«Sì, cazzo» Fred fu colpito dalle parole che lui stesso aveva pronunciato, si sentiva stimolato ad arrabbiarsi e a non misurare il suo comportamento, «mi scusi...»
«Non ti preoccupare, te l’ho detto prima, è l’influenza di questo posto ma ti ci abituerai. Prima di quell’impiego cosa hai fatto?»
«Altri lavori in diversi settori, alcuni che non avevano nulla a che fare tra loro.»
«Cosa ti spingeva a cambiare?»
«Per necessità.»
«Necessità di che tipo?»
«Per soldi e perché iniziavo ad odiare tutte quelle teste di...» Fred si trattenne a stento, «per sopravvivere.»
«Capisco» disse Lu, Fred non ne era convinto. «So che hai fatto diverse scelte nella tua vita, torneresti indietro se tu potessi?»
«Mai, ho deciso di vivere senza rimpianti e ho sempre cercato di seguire questa regola auto imposta.»
«Mi piace la tua risposta» disse Lu sempre più sorridente, «Sei un credente?»
«Credo in qualcosa.»
«Praticante?»
«Saltuariamente.»
«Come quasi tutti. Mai pensato di cambiare religione?»
«No, ho approfondito la conoscenza di altre fedi, ma mai fatto un passo deciso verso di loro» rispose Fred. La sequenza di domande non gli permetteva di riflettere e di elaborare una credibile bugia.
«Sposato?»
«Solo fidanzato.»
«Mai tradita?»
«No» rispose Fred senza il minimo esitamento.
«Con il pensiero?»
Fred respirò a fondo rallentando il ritmo della conversazione. «... Sì.»
«Come tutti, non preoccuparti»
«L’hai mai insultata mentre scopavate?»
«Mai»
«Hai mai nominato il suo nome» chiese Lu indicando il soffitto con il dito indice.
«Sì, diverse volte. Quando ero sotto pressione o veramente arrabbiato.»
«Anch’io lo nominavo spesso e guarda dove sono adesso» poi una risata, che Fred non riuscì a ricambiare.
«Fumi?»
«Fumavo, poi ho smesso.»
«Sappi che tutti quelli che sono arrivati qui hanno ripreso o iniziato, non aver più nulla da perdere ti cambia.»
Fred rispose con un timido sorriso.
«Tornando al tuo ultimo lavoro, com’erano i clienti?» chiese Lu, vorace di informazioni.
«Dei gran rompi co... insopportabili.»
«Lo immaginavo, sai quanti di loro hanno deciso di togliersi la vita per causa tua, o per meglio dire, a causa del tuo lavoro?»
«Qualcuno...» Fred aveva sentito delle voci su due o tre clienti che si erano suicidati, ma non poteva sapere se altri avessero preso quella stessa decisione.
«Non sono riusciti a sostituirti e molti tuoi clienti si sono rivolti ad altre persone meno precise, diciamo. Fino a oggi, indirettamente, hai provocato più di 25 suicidi.»
Fred non sembrava molto dispiaciuto dalla notizia, forse anche quello era dato dell’influenza di quel posto.
Lu continuò imperterrito, «Lo trovo un notevole risultato ed è per questo che ti ho chiamato. Alcuni miei dipendenti non sanno indurre in tentazione nemmeno una prostituta. Credo che tu possa diventare un ottimo elemento della mia squadra.»
«Ha detto indirettamente, forse il numero potrebbe essere stato influenzato da altri fattori.»
«Freddy, Freddy, fidati. Se dico una cosa è esattamente quella, io non mento» il sorriso di Lu sembrava sinceramente malefico. «Ti vedo troppo teso, vuoi una canna? Ti aiuterebbe.»
Lu prese una canna dal cassetto della scrivania e l’accese.
«Si, grazie» disse Fred, dimenticando una promessa fatta a suo tempo.
Lu gli passò la canna con un ghigno, più che un sorriso, in volto.
Fred cercò di prenderla, ma non riuscì a chiudere le dita della mano sinistra facendola cadere, la raccolse con l’altra.
Lu gli guardò il polso. Già sapeva cosa era successo.
«Taglio profondo, con cosa te lo sei fatto?»
«Con un pezzo di vetro.»
«Devi stare attento, se vai troppo in fondo recidi i tendini e non riesci più a muovere le mani.» Lu si allungò sulla scrivania e strinse la sua mano tatuata sul polso ferito. Fred notò che lo strano tatuaggio non era solo su mani e piedi, ma cercava di sbucare anche da sotto la camicia bianca e arrampicarsi sul collo.
Quando Lu tolse la mano, la ferita era scomparsa.
«Le anime come le tua di solito finiscono al piano appena sopra, e dopo qualche secolo di pentimento hanno la salvezza, invece tu hai preferito suicidarti, condannandoti qui per l’eternità. Vorresti tornare indietro sulle tue ultime decisioni, Freddy?»
«Nessun rimpianto. Questo è il mio credo» rispose Fred senza alcuna esitazione.
«Magnifico!» Lu scattò in piedi, preso dall’euforia. «Nei tuoi occhi vedo la tua risolutezza, riesco quasi a fiutarla e mi piace, tu mi piaci.» Tornò a sedersi, ritrovando la calma.
«Purtroppo però anch’io, come tutti qui, sono vincolato alle regole» il tono si fece quieto, «solo lui ha il potere di farti resuscitare. Però, fortunatamente per te, ho deciso personalmente la tua punizione, invece di assegnartene una d’ufficio come le solite: squartamenti, decapitazioni, lapidazioni, torture, ingozzamenti, stupri eccetera.»
«Le sono riconoscente» disse Fred abbassando nuovamente il capo.
Lu continuò con il suo piccolo monologo, «ormai perfino i miei ragazzi si sono stancati di punirvi, abbiamo deciso quindi di far rientrare quest’incombenza tra le punizioni assegnabili, e con profondo piacere ho scoperto che sono le più difficili da sostenere per voi. Un’ottimizzazione del lavoro suggerita proprio da un consulente umano.»
«Sono d’accordo con lei, siamo molto bravi a farci del male da soli» disse Fred, senza un doppio fine.
Lu scoppiò a ridere. «Mi piace il tuo sarcasmo, ideale per il compito che ti ho assegnato: responsabile dell’ufficio lamentele, girone dei lussuriosi. Se dimostrerai quanto vali chi dice che tu non possa avanzare velocemente nella nostra gerarchia.»
«Le prometto che farò del mio meglio» rispose Fred, orgoglioso del suo nuovo incarico.
«Ci conto. Puoi andare e tieni pure la canna. Se ti serve altro, chiedi pure.»


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