13/02/17

EROS E PSICHE



                           EROS E PSICHE




«L’Isola del Te e il Palazzo delle Immagini in Azione sono stati ideati e costruiti per mantenere viva l’immaginazione nel cuore e nell’anima delle persone.»      

Ermes e Giulia stavano cenando nell’ampia Sala dei Gatti, mangiando ravioli al brasato e sorseggiando dell’ottimo lambrusco dei colli piacentini.
Il giovane incantatore conversava con la ragazza scampata alla tigre bianca sull’anima del luogo che li compenetrava. 


                             


«Usai l’ingente eredità economica che il Fato mi ha donato per bonificare le paludi attorno all’Isola e per edificarvi questa residenza dell’Immaginazione rinascimentale, dedicata alla Virtus ellenica/magicorinascimentale e romantica.      

L’Isola l’ho chiamata “Te” per due motivi: la pianta del complesso s’ispira al Palazzo Te di Mantova, fondato da Giulio Romano per Federico II di Gonzaga e poi per una curiosa analogia; la parola “Te” rappresentava per gli antichi taoisti cinesi la stessa spontanea energia che mette in sintonia con la natura indicata dall’immagine “festina lente” di Virtus.   
Quattro padiglioni sono state realizzati e altri ancora seguiranno, dedicati ai concetti, ai paradossi e agli enigmi della fisica contemporanea; la teoria della relatività, la meccanica quantistica e le stupefacenti dinamiche del mondo submicroscopico sono connesse in modo analogico all'anima del Rinascimento.
In questa Reggia dell'Anima si avanza nel futuro guardando indietro.
Vedi, Giulia, oggigiorno l’Immaginazione creatrice delle persone è quasi morta, uccisa dalla tecnica e dal consumismo, e che fanno di solito le persone quando la loro immaginazione si è esaurita e langue moribonda?       
S’innamorano, cara mia, s’affascinano di qualcuno o di qualche idea allo scopo di risvegliare le loro vite spente con l’immaginazione.     
E non sanno mai del tutto chi sia veramente quell’altra persona che li attrae, e per questo spesso si mettono in pericolo e si ficcano nei guai, - per questo si dice che l’Amore è cieco - perché l’importante è mettersi al servizio di due possenti divinità, Afrodite/Venere ed Eros/Amore, in modo di riconquistare quell’immaginazione vitale.      
Dopo un buon caffè, Giulia, visiteremo il padiglione di Eros e di Psiche, dove le Immagini in Azione ci racconteranno una storia che si narra da millenni…»
Mentre Ermes stava parlando, Giulia si era alzata da tavola e si era seduta accanto all’addomesticatore e i due ragazzi si erano baciati contemporaneamente, in preda a una potente Forza invisibile.   
«Ermes, ti voglio bene, con te non ho più paura. Non avevo mai provato l’energia di questo sentimento.      
Prima di conoscerti ero io a desiderare o era qualcun altro a desiderarmi.
Ora siamo stati attirati insieme l’uno verso l’altra da un Desiderio che va oltre “me” e “te”.»    
«Anch’io ti voglio bene, Giulia, ma dovrai imparare a non aver paura anche senza di me. Tra un mese partirò per un lungo viaggio e ti affiderò la custodia dell’Isola del Te e del Palazzo delle Immagini in azione.
Eros senza Psiche diventa alla lunga un bruto materialismo fatto solo di possesso e istinto cieco e sordo, e Psiche senza Eros diventa solo cerebralità egotica sterile e senza creatività.       
Lascia andare, e anche le tegole dei tetti e i sassi emettono luce; tieni stretto, possiedi, incatena e anche l’oro vero perde il suo colore.          
Abbiamo ancora tanto da imparare insieme: andiamo, amore mio.»

Mano nella mano Giulia ed Ermes entrarono nel padiglione di Ermes e Psiche.


                           


                                                                                         I

                                            LA BELLEZZA DI PSICHE
                                 
C'erano una volta un re e una regina che avevano tre figlie.
Le due più grandi avevano un aspetto gradevole, ma Psiche, la terza figlia più piccola, invece, era così incredibilmente bella da non poter essere descritta con parole umane. Molti cittadini del Regno, infatti, e molti stranieri, avendo sentito parlare della sua eccezionale bellezza, accorrevano in gran numero soltanto per ammirarla, e a vederla restavano attoniti e le lanciavano baci.
Tutta quest'ammirazione, però, dette molto fastidio a Venere: Lei era la Dea della Bellezza e dell’Amore, e pertanto qualsiasi altra pretendente al titolo, per di più di razza mortale, cioè inferiore, andava eliminata immediatamente.


                                          

                                                                 - Afrodite/Venere -
                               (il Palazzo delle Immagini in Azione è a Lei dedicato,
                                  mentre suo Figlio ne è il motore di ricerca)


08/02/17

FESTINA LENTE

Riassunto della puntata precedente:
LA TIGRE BIANCA, LA RAGAZZA E IL GIOVANE INCANTATORE
(per chi non ha tempo e voglia di andare a leggerla):

Si narra di Ermes Bucchi, un giovane incantatore che ammansisce in un centro commerciale una tigre bianca fuggita da un circo sconvolto dal fuoco di un incendio.
La belva, dopo aver divorato diversi consumatori intenti alla spesa, tra gli scaffali, e un promettente quanto rampante capo reparto, chiude in un angolo la malcapitata Giulia, una ragazza che passava di lì per comprare dei germogli di soia.
Ermes la salva dalla fiera con il suono di un flauto e il canto di un’enigmatica canzone, con i quali addomestica Shyla, la tigre bianca, togliendole inoltre una scheggia d’acciaio dalla zampa.
Giulia, riconoscente e incuriosita, chiede a Ermes il segreto di quella sua mirabile capacità di domatore. Ermes la invita a seguirla a casa sua.

                 
                                      
Ermes portò Giulia in un camper.    
All’interno regnava il tipico disordine "creato"dai maschi nei loro spazi abitativi - pensò Giulia - .
«Perdona il mio chaos organizzato. Prendo il mio zaino, mangiamo qualcosa e tra un’oretta partiamo verso l’Isola del Te».   
Sorpresa.
Le aveva fatto prendere da casa un trolley per stare via qualche giorno, ma non per girare con quel caravan incasinato, pieno zeppo di libri, stampe e reperti naturalistici.     
«Ah, ma allora non abiti qua? Che cos’è l’Isola del Te?»
«Sei curiosa come tutte le persone intelligenti ma saprai tutto solo a tempo debito. Siediti che ti preparo qualcosa da mangiare. Vanno bene pennette al tonno e vino bianco?».  
Giulia acconsentì ed Ermes sparì in un bugigattolo che doveva essere la cucina di bordo.      
Mentre sbocconcellava dell’ottimo pane che le aveva lasciato sulla tavola, Giulia rifletteva sullo strano silenzio di Ermes.    
Più volte, mentre venivano lì, gli aveva ripetuto la sua domanda come un mantra ossessivo:
«Qual è il segreto del tuo potere?»    
E lui aveva risposto chiedendole di raccontargli la storia della sua esistenza.
La sua vita: una cronaca ininterrotta di abusi e soprusi.      
I suoi genitori avevano cercato a forza di farla diventare un’infermiera, in modo di avere un aiuto durante la vecchiaia.
Tutto quel dolore, e il sangue, e la malattia e il decadere fisico e la morte, tutto quel regime di sofferenze imposte l’avevano fatta ammalare di ansia e paura e l’avevano spinta a scappare di casa e a vivere da sola in un piccolo appartamento ammobiliato.      
Tutta quell’ansia e quella paura l’avevano spinta a cercare dei redentori.
Frequentò delle amiche e degli amici che si proponevano di salvarla dalla paura con svariate discipline New-Age, soprattutto di matrice orientale.
Tutte quelle pratiche e quelle esperienze finivano sempre allo stesso modo: soldi buttati via e incremento del vuoto interiore e della paura.  
Conobbe un ragazzo che le fece provare un altro regime di liberazione: il sesso estremo.
Provò a sostituire lo Spirito con la Materia e sperimentò quei giochi fisici fatti di manette, corde, oggetti colorati che le indagavano il corpo e insulti “metaforici”, attivati solo per eccitare.
Poi dalle ingiurie “simboliche” si arrivò alle botte - quelle vere che fanno sanguinare e danno dolore, e ancora dolore - e Giulia scappò a gambe levate da quel nuovo salvatore corporeo, dopo averlo denunciato.  
A quel punto del suo racconto, Ermes aveva accostato la macchina e le aveva detto con la sua connaturata gentilezza:      


                             

“Tu vuoi sapere del mio potere per liberarti dalla tua paura.  
Tu cerchi ancora un redentore e allora, ascolta: patti chiari amicizia lunga.
Non sono il tuo salvatore, né ora né mai.  
Il problema è che da quando sei nata non hai ancora cercato veramente te stessa, e adesso hai trovato me e questa mia sintonia con la natura.
Allora, ti dico: perdimi subito e ritrova te stessa. Perdimi e ritrovati.
Se vuoi posso guidarti a riprendere contatto con il tuo vero Sé, ma lo posso fare solo come una guida e non come un redentore.
Una guida è solo un amico che mette in grado i suoi compagni di vita di camminare da soli, offrendo loro un supporto solo quando si rende indispensabile per motivi urgenti di salute o di sopravvivenza.
Se vuoi continuare questo percorso con me, ricordati bene questo: non ti offro nessuna liberazione, ma solo UN’AUTOLIBERAZIONE, perché non c’è vera libertà dalla paura se non ci si libera anche da ciò e da chi ci ha liberato.   
A queste condizioni, vuoi andare avanti?»        
Mentre svaniva quel flusso di pensieri, Giulia notò davanti alla tavola un quadro che raffigurava uno strano, assurdo fanciullo con la barba, che assomigliava moltissimo a Ermes.  
Anche il domatore aveva gli stessi occhi azzurri e la facciotta da bimbo, contornata da una barba nera ben curata e rasata.
Sopra il dipinto spiccava un titolo oscuro: PAEDOGERON.

    
                                               Albrecht Dürer

01/02/17

LA TIGRE BIANCA , LA RAGAZZA E IL GIOVANE INCANTATORE

Manlio Valeri, caporeparto del settore alimentari dell’ipermercato “Acca Corta”, non poteva immaginare che la vita fosse così imprevedibile.
Davanti a lui stava per balzare una poderosa tigre albina siberiana e la sua zampata stava per decapitarlo all’istante.

                      
Non poteva immaginare che un incendio improvviso quanto devastante, aveva fatto crollare un pilastro d’acciaio del vicino circo “Forstner” sulla gabbia della tigre, che era fuggita da un varco creato nelle sbarre dall’urto.
Era scappata affamata e ferita, con una scheggia di ferro nella zampa.
Il collo di Manlio stava per separarsi dal resto del corpo e la sua testa, tra poco spiccata, non sapeva che Shyla, la tigre, era corsa dentro il centro commerciale e poi tra gli scaffali dell’”Acca Corta”, facendo strage di attoniti consumatori.
Manlio aveva sempre saputo farsi obbedire in modo subdolo e talvolta autoritario dai suoi sottoposti perché non era mai stato autorevole e capace di vivere con l’energia naturale che promanava solo da lui.
Manlio sapeva solo essere forte coi deboli e debole coi forti: aveva sempre obbedito come una pecora ai diecimila pastori della sua esistenza perché era sempre stato incapace di comandare a se stesso.
E ora, mentre si pisciava addosso, non riusciva a comprendere che cosa ci facesse una tigre nel suo bel reparto ordinato e pulito.

Giulia Bianchi stava guardando gli attrezzi da giardinaggio, nell’apposito reparto del grande magazzino “Acca Corta”, quando davanti a lei si manifestò la gigantesca tigre bianca siberiana; Shyla s’accucciò davanti a lei chiudendola in un angolo, e osservandola con feroce interesse, cominciò a divorare, sul prato in erba sintetica del reparto, un pezzo di coscia di Manlio Valeri, noto ed efficiente caporeparto dell’ipermercato.
Giulia, terrorizzata, s’appoggiò al muro e prese a piangere, in silenzio.
La tigre annusò immediatamente i feromoni della sua paura e per i grandi felini chi ha paura è, potenzialmente, la prossima preda.
Per fortuna di Giulia, Shyla era intenta a divorare quel pezzo di arto, ma la situazione era ad alto rischio.
All’improvviso dietro la tigre bianca si sentì lo strano suono di un flauto.
Shyla rigirò di scatto, ruggendo, la sua enorme testa e insieme a Giulia vide avanzare lentamente verso di loro un giovane dagli occhi splendenti e furbi.
Quel ragazzo indossava jeans e un giubbotto di pelle nera, e portava un cappello da baseball e degli occhiali da sole.
Il suo nome era Ermes Bucchi -1-, educatore zoofilo e addestratore d’animali.
Smise di suonare il flauto e prese a cantare degli strani versi:
“Dai fossati, qui nella fossa del profeta Daniele il canto odo;
angeli si librano per consolarlo,
avrebbe mai paura il probo?
Leone e leonessa un poco alla volta,
attorno a lui si stringono a raccolta;
sì, i dolci e devoti canti li hanno ammaliati!”