09/05/16

SEGUENDO L'AIRONE ROSSO

“La forza delle conoscenze non sta nel loro grado di verità, bensì nella loro età, nel loro essere assimilate, incorporate, nel loro carattere di condizione di vita”.
Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 110.
                 


La Lanca Venara, chiamata anche “Bora dei batel”(il burrone delle barche), ha rappresentato nei secoli per la sua estensione, per la freschezza delle sue acque sorgive e per la varietà dei pesci e degli uccelli che la abitano, un punto di riferimento per la popolazione più povera del paese di Zerbolò, (situato vicino al fiume azzurro Ticino), dedita al taglio, o alla raccolta, di legna secca e all’attività di pesca.
 

Lungo i sentieri nei dintorni della Lanca Venara è possibile compiere interessanti escursioni ed avvistare, tra i canneti e i boschi di farnie e pioppi bianchi, oltre a numerose cicogne bianche, aironi cenerini, aironi rossi, falchi pellegrini, albanelle reali, poiane e gheppi, allocchi e gufi di palude, ma anche piccoli mammiferi come scoiattoli e moscardini.


La famiglia Maiocchi era arrivata nei pressi della Lanca di buon mattino, a bordo di un potente fuoristrada.
Il padre, un noto fisico nucleare e i due figli adolescenti, muniti di macchine reflex digitali fornite di teleobiettivi lunghi come mezzo braccio di un uomo adulto, partirono verso il vicino bosco Siro Negri per fotografare tutto quello che era possibile immortalare nelle schede di memoria.
La moglie del Maiocchi si fermò a prendere il sole e a preparare la grigliata per il pranzo.
« Quando ci fermiamo, papà? Mi fa male un piede e anche Tania ha fame…»
«Un poco di pazienza, ragazzi. Dario, guarda la mappa, non ci stiamo allontanando troppo dalla strada?»
«Papà, torniamo indietro, siamo stanchi: andiamo a guardare ancora le cicogne mentre salgono su nel cielo avvitandosi nelle termiche…»
«Eh no, cari miei, mi avete fatto una testa così per tutta la settimana. Volevate esplorare un bosco , ed ora vi porto in uno degli ultimi lembi di foresta primordiale della pianura padana rimasti in Lombardia.
Vedrete che figurone farete a scuola quando lo racconterete ai vostri compagni di classe.
Forza, adesso ci siamo e quindi camminate senza fare storie.
Guardatevi intorno piuttosto, invece di pensare solo a mangiare. Respirate forte, questa sì che è aria buona…
Continuarono a camminare sul sentiero che portava al bosco Siro Negri, e intorno a loro vedevano risaie, canali, rive e siepi arboree ed arbustive, pioppeti, marcite e boschi naturali antichissimi.

                                

All’improvviso davanti a loro si levò in volo un grande airone dal collo rosso fuoco a forma di Esse, evidenziato da una striscia nera e da un ciuffetto scuro sulla testa color ardesia…
«Un airone rosso! Che meraviglia! Presto ragazzi, dobbiamo seguirlo, preparate le reflex, ogni scatto vale almeno dieci euro e pago in contanti, seguitemi…»
Il Maiocchi entrò di buon passo nel campo che portava a una piccola lanca costeggiata da un canneto, da dove si era levato nel suo tipico slancio elegante l’airone rosso.
I due figli, dopo aver estratto le digitali dalle custodie arrancavano dietro al padre come potevano.
«Presto, presto! Tenetevi dietro di me sottovento, l’airone andrà a posarsi in quella lanca, oltre il canneto, e vedrete che foto faremo…»
Il Maiocchi era in preda a un’autentica frenesia e si gettò all’inseguimento del magnifico ardeide.
Giunto alla lanca, s’infilò con cautela tra le cannucce di palude e notò l’airone posato sulla riva fangosa.
Fece cenno ai suoi figli di non fare rumore, quando l’airone rosso prese il volo ancora una volta e svanì nell’intrico della foresta che cominciava vicino alla lanca.
«Andiamo, andiamo, altrimenti lo perdiamo!»
«Ma papà siamo stanchi! Abbiamo fame, torniamo indietro!»
Ma il Maiocchi, senza voler sentire ragioni, s’infilò nella macchia primordiale del bosco Siro Negri, seguendo il volo dell’airone, e Tania e Dario gli andarono dietro di malavoglia.
Percorsi a fatica venti metri di foresta, il Maiocchi, seguito dai suoi sbuffanti ragazzi, giunse a una radura che rivelava l’esistenza di una grande cavità, all'apparenza non artificiale e scavata dall'uomo, nel cuore del bosco.


Dentro la cavità era situata una strana e grande pietra, un enorme scisto iridescente di un coloro ignoto a qualsiasi minerale che il Maiocchi avesse mai visto o studiato; era come se i colori dell’iride veleggiassero tramite correnti e onde misteriose sulla superficie di quella roccia inusitata.
Stavano ammirando una guglia pietrosa imponente; di dieci metri di diametro, la cui cima arrivava a una trentina di metri sotto il livello del margine.

                                      

Il suo tono cromatico ricordava al Maiocchi i cristalli iridescenti di bismuto: anzi, era convinto che si trattasse di un tipo di bismuto artificiale applicato dall’uomo, ma nello stesso tempo del bismuto di una fattura così prodigiosa da non poter essere stato forgiato da esseri umani.
Più brillante di un arcobaleno che appare all’improvviso dopo un temporale estivo, aveva una ricchezza di colori che suggeriva l’idea di una visita a un museo di arte contemporanea. 
Sfavillava iridescente al sole come se i suoi bagliori sgorgassero dalla tavolozza di un pittore che usava i pigmenti puri direttamente dal tubetto poi poi elettrificarli con un cavo scoperto.
Dai fianchi della cava scendevano due sentieri che portavano in profondità.
Dall’alto Maiocchi vide l’airone rosso posarsi sul fondo, alla base del scisto cosparso di cristalli di ossido di bismuto, e notò il suo nido, la sua femmina e tre pulcini che erano nati da un paio di settimane.

                               

Prese per mano i suoi figli e cominciò a discendere nella cava.
Invano Tania e Dario, (atterriti quanto meravigliati) cercarono di dissuaderlo dal discendere.
Come ipnotizzato il Maiocchi proseguì per il sentiero che scendeva a spirali lungo la parete del pozzo.
Era evidente al Maiocchi che la guglia di bismuto era caduta dall’alto e si era conficcata in quel terreno creando quella radura. Lo capiva da come la terra ai lati era stata smossa con violenza titanica, inconcepibile.
Sul fondo del pozzo trovarono altri nidi di airone e diversi reperti archeologici; consunti e sfigurati, giacevano degli idoli di legno e di pietra di uomini primitivi che avevano venerato quello scisto nei secoli.
Alcuni, coperti da oscene figure e forme totemiche, erano ricavati da solidi tronchi di quercia centenaria.

                                                     


Notò, tra questi dèi, inconsuete forme metamorfiche molto distanti da quella umana o animale, disegni geometrici che non aveva mai visto in vita sua.
Si stupì del continuo ricorrere del motivo della spirale.

                                   

Camminando vicino a quei rimasugli di strane divinità e di vetusti feticci, con i ragazzi gementi e riottosi alle sue calcagna, il Maiocchi giunse all’ombra del grande scisto di bismuto e proseguì sotto la sua mole colossale sino a toccarlo con i polpastrelli.
Quella non era di metallo pesante; e la superficie non aveva la levigatezza del freddo acciaio, per esempio, ma sembrava al tatto una pelle…
Era, infatti, corrugata e grinzosa, con chiazze qua e là che mostravano il segno del calore e della fusione. Inoltre, aveva una consistenza come l’avorio, per quanto diversa da qualsiasi tipo di osso o di legno che avesse mai conosciuto. Quanto al colore iridescente stesso, concluse che non era stato applicato, ma era il colore proprio del metallo.
Mosse i polpastrelli, che aveva solo appoggiato sino a quel punto, lungo la superficie, e sentì l’intera guglia gigantesca palpitare di vita in risposta. 
Incredibile! Un tocco così leggero aveva avuto una corrispondenza con una massa così vasta!
Eppure pulsava sotto le carezze dei polpastrelli  in vibrazioni ritmiche che divennero sussurri, fruscii, aliti di suono — ma di un suono così diverso, così elusivo e sottile nel suo tremulo sibilare, così pastoso nella sua dolcezza ammaliante, acuta come la viola di un’orchestra sinfonica, che il Maiocchi avvicinò al rintocco di un gong d’innominabili divinità cosmiche moventesi verso la terra attraverso lo spazio.
Si rimise a contemplare quel prodigio: sembrava vuoto, e fatto con un metallo sconosciuto sulla terra, concluse.
Sembrava proprio essere arrivato da lontane galassie.
Sì, solo dalle stelle poteva essere provenuto, e non aveva alcunché di casuale, ma era stato creato dall’ingegno di una qualche mente. Una tale perfezione di forma, e la cavità che di certo possedeva, non potevano essere il prodotto della pura accidentalità. Era indubbiamente figlio di intelligenze remote e imperscrutabili, ma che lavoravano fisicamente i metalli.

                                   

La fissò sbalordito, mulinando nel cervello una sarabanda di ipotesi che spiegassero questo gran viaggiatore che aveva sfidato la notte dello spazio, piroettando fra le stelle, e ora si levava davanti a lui e sopra di lui, esumato dall’inseguimento al volo di un airone rosso, solcato e smaltato da un bagno fiammeggiante entro due atmosfere.
Già, era evidente che c’era una relazione tra quell’oggetto spaziale e gli aironi rossi che nidificavano alla sua base. Qual era?
E poi, era stato forse il calore a rivestire qualche metallo familiare di quel colore? O questo dipendeva dalla natura del metallo stesso? Usò la punta del suo coltellino svizzero per saggiare la costituzione del materiale, e all’istante l’intera sfera proruppe in un sussurro possente di aspra protesta simile al risuonare maestoso di una corda pizzicata — se si può dir così di un sussurro — che ora saliva ai registri più alti, ora scendeva a quelli più profondi, e queste due sonorità estreme minacciavano di completare il cerchio rapprendendosi nella melodia di un’arpa astrale.
« Papà » disse Dario « che cos’è questa roccia, e a che cosa serve?»
 Il Maiocchi non sapeva che cosa rispondere al suo ragazzo.
Era come in trance: per lui la dimensione della vita umana si era ridotta a dimensioni microscopiche dinanzi a questo gigantesco prodigio di vita superiore giunto da un qualche punto dell’universo siderale.
« Non lo so, Dario, non lo so. Seguitemi…»
La famiglia Maiocchi si rimise in cammino intorno alla base del scisto.      
Si trovavano al cospetto di un meraviglioso messaggero, volato attraverso lo spazio carico delle sue conoscenze, e caduto in una foresta primordiale per essere adorato da generazioni di uomini e da una particolare specie di ardeidi, gli aironi rossi. 
Era come se la parola di Dio fosse caduta nella palude melmosa degli abissi che formano la pianura padana; come se i Comandamenti di Jahwè fossero stati offerti incisi sulle cannucce di palude agli aironi rossi delle lanche; come se il Discorso della Montagna fosse stato pronunciato nel silenzio remoto di fitti boschi montani.
« Tania, Dario, ascoltatemi: » riprese a dire il Maiocchi, visitato da una prepotente intuizione.
« Questo è un messaggio inviato da un’intelligenza sconosciuta che vive in altri mondi… e non so perché ha scelto gli aironi rossi come ambasciatori sulla terra per questa sua novella »
«La buona novella, papà » precisò Tania.
«Al momento non sappiamo se è buona o cattiva, Tania, dobbiamo cercare tutti insieme di capirlo. »
Chi erano, che cos’erano, quegli esseri superiori così lontani che avevano attraversato il cielo col loro gigantesco messaggio iridescente color ossido di bismuto?  
«Papà, ascolta, andiamo via, ho paura. Questa cosa è troppo strana per i miei gusti; complicata, insolita, c’è qualcosa che non va. Torniamo a casa e riflettiamo. Poi tornerai magari con qualche tuo amico scienziato.»
«Complicato? Complesso? Intricato? Ma no, Tania!
La crescente complessità dell'universo, così come viene recepita dai fisici delle multidimensioni e dagli artisti contemporanei, è un evidente segno dell'autocoscienza della nostra evoluzione mistica psicosomatica verso una condizione esistenziale più saggia, libera e luminosa; stiamo evolvendo verso una fusione nelle divinità cosmiche, nell'amore.
Il nostro processo evolutivo è a un bivio: da una parte il falso progresso materiale che ci ha portato ai bordi dell'Apocalisse e dall'altra questo evolversi della complessità del Cosmo nella nostra coscienza intesa come Anima del Cosmo Multiversa.
La complessità dell'Universo sta diventando sempre più coerente e autoconsapevole.
L'intero universo sta per aprire gli occhi e sbattere le palpebre…»
All’improvviso, nel bel mezzo del concitato sermone paterno del quale i ragazzi non capivano una parola, i Maiocchi sentirono ancora levarsi dal pinnacolo un respiro melodioso e prodigio! Dal cielo arrivarono decine di aironi rossi che volteggiavano attorno a quel pinnacolo alieno.


Che meraviglia! La guglia parlava con la voce degli arcangeli; la sua bellezza non aveva pari fra tutti gli altri suoni; era carica dell’intelligenza di misteriosi abitanti di altri pianeti e di altri soli; era la voce di Dio, o meglio era lo spazio che era stato creato per poter ascoltare la voce di tutti gli Dei, seducente e imperiosa nell’esigere di essere ascoltata. Non era né Bene e né Male, era solo qualcosa che dovevi vedere, gustare, annusare, toccare, ascoltare: l’eterno miracolo di quel metallo fluido infrastellare!
I Maiocchi videro con i propri occhi l’obelisco e i suoi colori trasformarsi in puro suono, finché l’intera superficie visibile dell’enorme guglia fu tutta un’emanazione fremente di strani suoni e colori.

In quell’attimo immenso la famiglia Maiocchi venne assorbita degli interstizi di quella materia siderale, e i loro corpi vennero attirati dalla pietra porosa e organica e disciolti con micidiali fusioni metaboliche, inesorabili trasfusioni intime tra forza e materia. Prima di svenire il Maiocchi si ricordò della trappola ad ascidio delle piante carnivore, foglie invitanti a caraffa contenenti inesorabili sistemi di enzimi digestivi e possenti batteri peptici...
«…il divino è asceso attraverso il pensiero nella materia…la materia è il divino nella sua forma più condensata…oh, sì…quest’entità è presente in ogni cosa…»



I Maiocchi non sapevano quello che gli aironi rossi si tramandavano con l’istinto da millenni: una gigantesca pianta carnivora mineraliforme, proveniente dalla galassia a spirale denominata M33, era arrivata sul pianeta Terra, pronta ad attirare, ghermire, assimilare…

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