30/03/16

RUMIZMANIA (il metodo Rumiz) di Mauro Banfi

                

“Perché ti meravigli tanto se viaggiando ti sei annoiato? Portandoti dietro te stesso hai finito col viaggiare proprio con quell'individuo dal quale volevi fuggire.”
Socrate
“ Invece noi, a cui è patria il mondo come ai pesci  il mare, benché abbiamo bevuto all’Arno prima di essere svezzati, e benché amiamo Firenze al punto che, perché l’abbiamo amata, soffriamo ingiustamente l’esilio, noi poggeremo la bilancia del nostro giudizio sulla ragione piuttosto che sui sensi.”
Dante, De Vulgari Eloquentia.
“…finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace.”
Fabrizio de Andrè, Khorakhané.

                                              
Ci sono autori che nel corso degli anni, lettura dopo lettura, diventano dei veri e propri amici a distanza.
Ad esempio: Claudio Magris, laico punto di riferimento di vita e di letteratura o Roberto Calasso, entusiasmante, immaginifico, analogico e adelphiano animatore della cultura dell’incognito e del sogno; Pietro Citati, il perfetto lettore/scrittore nitido reinterprete di classici senza tempo o Michele Mari, abile giocoliere della narrativa di genere e di confine, poliedrico prestidigitatore del weird e di ogni tipo di narrativa.
Tra questi voglio presentarvi un amico davvero speciale: anche lui triestino come Claudio Magris, anche lui grande narratore di viaggi come la sublime guida delle vie orientali Tiziano Terzani: Paolo Rumiz, “l’uomo dal block-notes, un figlio della frontiera che si è messo a scrivere solo per viaggiare”, come Rumiz ama denotarsi, da vero triestino e cittadino del mondo.
Nel grande narratore di viaggi il cosa è narrato coincide con il come viene narrato.
Per comprendere Paolo Rumiz e la sua narrativa voglio introdurvi a come la scrive e il resto verrà di seguito.
Bene: da quando è cominciata l’era informatica non leggo più giornali, soprattutto italiani.
Non ne posso più dei nostri politici inetti, corrotti e cialtroni.
Solo ad agosto non mi perdo un numero di “Repubblica”.
Perché sta per cominciare una nuova imperdibile avventura di Paolo Rumiz.
Domenica 2 agosto 2015 è cominciato il quindicesimo viaggio a puntate di Paolo Rumiz, forse uno dei più belli e ricco d’incontri umani e di scoperte del territorio, seguendo la via dell’Appia Antica da Roma fino a Brindisi.
Con emozione ricordo questi quindici anni di avventure e scoperte e i mezzi di trasporto usati da Rumiz e compagnia bella per realizzarli:                      
  • Tre uomini in bici (2001): biciclette da strada.
  • Seconda classe (2002): in treno.
  • Fuga sulle alpi (2003): a piedi.
  • La rotta per Lepanto (2004): in barca a vela.
  • La Gerusalemme perduta (2005): svariati mezzi di trasporto.
  • Appennino, il cuore segreto (2006): a bordo di una “Topolino” del ’53.
  • Il ritorno di Annibale (2007): mezzi vari, prevalentemente a piedi.
  • L'altra Europa (2008): svariati mezzi di traspoto.
  • L’Italia sottosopra (2009): svariati mezzi di trasporto.
  • Camicie rosse (2010): svariati mezzi di trasporto.
  • Le case degli spiriti (2011): svariati mezzi di trasporto.
  • Il Risveglio del fiume segreto: in viaggio sul Po (2012): varie imbarcazioni.
  • La Grande Guerra (2013): a piedi.
  • Il guardiano del faro (2014): in solitario su un’isola del mar Adriatico.
  • Alla ricerca dell’Appia perduta: rigorosamente a piedi.

22/03/16

MNESTEI BERYLLOS

23 Agosto dell'anno 79 dopo Cristo. 
Oplontis, Villa di Poppea, moglie dell’imperatore Nerone.

- al piano superiore della villa di Oplontis, gli ambienti angusti, gelidi d'inverno e bollenti d'estate dove vivevano gli schiavi -

-     Devo sbrigarmi o rischio di essere sorpreso in flagrante.
Questa parete, nel corridoio breve e buio vicino alle latrine, che collega il quartiere servile al giardino, dove i padroni stanno ingozzandosi come i maiali nel corso della loro orgia , fa proprio al caso mio.
Questo è il momento propizio.
Ultimo, il capo-cuoco, crede che sia venuto qua a liberarmi gli intestini nel grande buco delle latrine.
Nessuno mi vede e incido l’intonaco con questa punta acuminata, sottile e metallica.
Scrivo il mio nome bello in grande, con tutta calma, senza abbandonarmi alla paura e alla fretta, nella lingua greca.
“MNESTEI  BERYLLOS”. Sia ricordato Beryllo.
Ho sedici anni e sono uno schiavo orfano di padre e di madre, venduto dal mio padrone - e presumo, padre di cui non conosco il nome - cinque anni fa alla grande matrona Poppea.
                  

14/03/16

QUELLA NOTTE A LE CAILLOU, PRIMA DELLA BATTAGLIA DI WATERLOO

                    
                                                                                       I


17 giugno 1815.
La notte prima della battaglia di Waterloo si scatenarono precipitazioni torrenziali di proporzioni bibliche. 
Un violento temporale si riversò al suolo, trasformando le strade in pantani e i campi in mari di fango.
Un ufficiale inglese del 51esimo Reggimento Fucilieri, Wheeler, in seguito scrisse: 


                                                           

"Il terreno era troppo bagnato per sdraiarsi ... l'acqua scorreva a fiotti dai polsini delle nostre giacche.
Abbiamo avuto una sola consolazione, sapevamo che il nemico era nella stessa situazione.” 
Wheeler aveva ragione: la pioggia incessante sarebbe stata un inconveniente per tutte e tre gli eserciti in guerra, non da ultimo lo schieramento dei Prussiani, mentre lottavano lungo le strette stradine di campagna per collegarsi con il generale inglese Wellington.


           

Napoleone e i suoi generali s’installarono in una fattoria nelle prossimità degli accampamenti, sulle colline, dell’esercito anglo-olandese, e stabilirono il loro quartiere generale.
Il suo nome: Le Caillou, il “sasso”.
L’Imperatore era stanco ed erano dovuti intervenire ben due attendenti per togliergli gli stivali fradici e incollati ai piedi.
Intorno a un tavolo cominciò a discutere sulla strategia da tenere in battaglia.
Cercava di nasconderlo ma il suo cuore era pieno d’ansia.
I suoi generali non erano più brillanti ed energici come una volta.Ma nel dettaglio, lo preoccupavano le divisioni anglo-olandesi e le posizioni che avrebbero assunto il mattino seguente sul campo di battaglia.
Wellington avrebbe abbandonato la zona di Mont Saint Jean per asserragliarsi nella città di Bruxelles oppure no?
Per fugare questi dubbi assillanti, com'era sua abitudine prima di una battaglia decisiva, volle sincerarsi personalmente della situazione e nelle prime ore del mattino si recò a ispezionare gli avamposti della sua armata, approfittando della vicinanza della prima linea nemica, per osservare accuratamente i bivacchi dei soldati del duca di Wellington accampati ai margini della foresta di Soignies.


                                                    
  
« Laffite!»
Napoleone chiamò un suo fedele attendente della Vecchia Guardia, un “grognard” imponente e nerboruto.
« Comandi, Empereur»
«Avete trovato l’informatore del posto? Stiamo partendo in esplorazione e ho bisogno di sapere che cosa c’è oltre quelle colline e dove portano certi sentieri che ho avvistato arrivando in questo posto.»
«Ordine eseguito. E’ un giovane contadino del posto, Arthur Decoster.
                                                      
  
Obbedirà senza alcun problema, teniamo agli arresti il padre Jean Baptiste e la madre Marie».
«Andiamo, allora, non c’è tempo da perdere.»



06/03/16

STEPHEN KING COME EDUCATORE di Mauro Banfi


               
            


“ Ognuno di noi custodisce in sé, come nocciolo del suo essere, una unicità creativa; qualora diventi consapevole di questa unicità, allora comincia ad emanare un particolare fulgore inconsueto, lo splendore di ciò che è insolito. 
Per i più è qualche cosa di insopportabile: poiché come abbiamo detto essi sono pigri e a quella unicità è connessa una catena di fatiche e di pesi. Non vi è dubbio che, per chi è insolito e si grava di questa catena, la vita perde quasi tutto ciò che è l'oggetto dei desideri nella giovinezza: serenità, sicurezza, levità, onore; la sorte dell'isolamento è il regalo che gli fanno gli altri uomini; il deserto e la caverna sono immediatamente lì, dovunque egli viva.
Allora badi di non lasciarsi soggiogare, di non abbattersi e diventare melanconico. E perciò si circondi delle immagini di buoni e coraggiosi combattenti, quale Schopenhauer stesso era.”
Friedrich Nietzsche, Schopenhauer come educatore.

                                                                                            I

Il Moscone ripensava a quel passo letto nell’autobiografia di Stephen King “On writing: autobiografia di un mestiere”, tanti anni fa:


“Quando scrivete, volete pur liberarvi del mondo, non è vero? È ovvio. Quando state scrivendo, state creando i vostri mondi.
Direi che stiamo parlando in realtà di sonno creativo. Come la vostra camera da letto, quella in cui scrivete deve garantire il massimo di privacy, un luogo dove andare a sognare. La disciplina nell'orario: inizio più o meno sempre alla stessa ora e fine quando avete messo sulla carta o su un dischetto le vostre mille parole serve ad abituarvi, a prepararvi a sognare proprio come vi preparate a dormire quando vi coricate più o meno alla stessa ora tutte le sere e dopo aver ripetuto sempre più o meno le medesime operazioni. Nello scrivere e nel dormire impariamo a interrompere le attività fisiche mentre al contempo incoraggiamo la mente a staccarsi dalla routine intellettuale del nostro vivere quotidiano. E come la mente e il corpo si abituano a un certo quantitativo di sonno, diciamo sei, sette, forse le otto ore raccomandate per ogni notte, così da svegli si può addestrare la mente a dormire in modo creativo e a sviluppare quei sogni a occhi aperti le cui vivide immagini sono ottime opere di fiction.”



Rileggeva quelle frasi (davvero fatidiche, direbbe King), presenti in una nuova traduzione del libro e ripensava alla sua decisione compiuta allora.
In mano aveva le proposte di pubblicazione di diverse aziende editoriali a pagamento, quando scattò la ribellione:
«Perché devo pagare per scrivere? Scrivo per vivere e non il contrario!»
Il modo come King organizzava la sua giornata per stimolare quel “sonno creativo” faceva capire che era quello il valore fondamentale, la ricerca di un vivere di qualità e non i soldi e il successo.
In un altro punto cruciale del libro il buon Re lo dice in modo esplicito:

“Comincia così: sistemate la vostra scrivania nell'angolo e tutte le volte che vi sedete lì a scrivere, ricordate a voi stessi perché non è al centro della stanza. La vita non è un supporto per l'arte. È il contrario.”


Fu proprio dove aver letto quei due periodi supremi che finì la carriera di aspirante scrittore professionista di Mauro Banfi e nacque il Moscone.
Mauro spostò la scrivania dal centro della sua “camera dove sognare” in un angolo.
Poi prese dall’armadio una giacca di pelle nera, recuperò un cappellino da baseball e un paio di occhiali neri e si diresse verso lo specchio vicino.
E si mise a ridere fragorosamente: ahahahahahha!

                                            

Era libero. Ed è ancora libero adesso.
Della nostra vita dobbiamo rispondere unicamente a noi stessi.
Non ci sono né crediti né debiti: ognuno sceglie la sua via e la percorre fino in fondo.
Ah, quella del Mosco era bellissima! Ecco, organizzava la sua giornata tipo, in funzione della “camera per sognare” (lavoro permettendo):



Da mezzanotte alle sette: rilassarsi e addormentarsi, sonno e sogni.
Dalle sette alle otto: il risveglio, toilette ed esercizi yoga.
Ore otto: la prima colazione.
Dalle nove alle diciotto (talvolta un po’ dopo): la vita creativa, lavorativa e sportiva e un frugale pasto verso le dodici.
Dalle diciotto alle ventuno: adesso ceniamo e ci rilassiamo.
Dalle ventidue alle ventiquattro: alle prese con la digestione e il secondo cervello dell’intestino.
Dalle ventuno alle ventiquattro: la vita affettiva.