18/12/15

I SALICI BIANCHI(3 e fine): la prova di Anna

                                        
                                                  
                                                                         - Robert Ryman -
         
Studio di immagini I 

"Non serve parlare del grande cespuglio blu
del giorno. Se lo studio delle sue immagini
è lo studio dell'uomo, quest'immagine del sabato,
questo simbolo italiano, questo paesaggio del Sud, è come
un risveglio, come nelle immagini noi ci risvegliamo,
entro l'oggetto stesso che cerchiamo,
partecipi del suo essere. Esso è, noi siamo.
Egli è, noi siamo. Ah, bella! Egli è, noi siamo,
entro il grande cespuglio blu e la sua vasta ombra
di sera e di notte."

Wallace Stevens


Domenica, 3 aprile 2016, lanca dei salici bianchi.
La scena era da film: Anna aveva ammanettato con delle fascette di plastica, usate da Riccardo come materiale per le bici, a tre alberi, Mauro, Paolo e suo marito Ricky.

                                     

La donna, per quanto snella e atletica, stava cercando di calmare il respiro dopo aver lottato ed essere riuscita a intontire Riccardo col suo storditore elettrico Skorpy 2000, regolato a soli 50000 volt dei suoi 200000 potenziali.
Mai e poi mai avrebbe immaginato di usarlo contro se stessa, suo marito e i suoi amici più cari.
Aveva fatto bene a portarselo dietro, non si sa mai che cosa può capitare nel mondo.
Dopo aver legato i polsi di suo marito a una robusta farnia di palude, si sdraiò schiena a terra, e contemplando il cielo rimise in fila i fatti di quella giornata.

                                          

Dopo l’inquietante incontro col cercatore di funghi, erano arrivati dopo una mezzora, ormai a sera, alla lanca dei salici bianchi.
Mentre piazzavano le tende e preparavano la cena, osservarono lo strano biancore dei salici intorno a loro.
Era vero, troppo bianco quel bianco e troppo argentate quelle acque.
L’indomani sarebbero andati a esplorare gli alberi.
Anna aveva già intuito dal silenzio che c’era qualcosa di preoccupante in quel posto, per quanto doveva ammettere che era davvero affascinante nella sua bizzarria.
Impressione che era stata acuita dall’ascolto del racconto “I salici” di Algernon Blackwood, letto da Mauro quella sera sulla sponda della lanca, nella fioca luce della torcia elettrica.
Due turisti in canoa, un inglese e uno svedese, risalgono il Danubio e restano isolati a causa di una tempesta su una sperduta isola fluviale.
Dovranno confrontarsi con entità indecifrabili legate alla vegetazione del luogo e completamente estranee alla dimensione umana.
                                   

“Potrò mai dimenticare la solitudine di quell'accampamento sul Danubio? La sensazione di essere completamente solo in un pianeta deserto! I miei pensieri correvano senza sosta alle città e alle tane degli uomini. Avrei venduto l'anima, per così dire, per "sentire" i villaggi bavaresi che avevamo attraversato a decine; per le cose più umane e banali: contadini che bevono la birra, tavoli sotto gli alberi, sole caldo, e le rovine di un castello sulle rocce dietro la chiesa dal tetto rosso. Perfino i turisti sarebbero stati i benvenuti. 
Eppure quanto sentivo o temevo non era la solita paura dei fantasmi. Era infinitamente più grande, più estranea, e sembrava nascere da qualche oscuro sentimento ancestrale di terrore che mi turbava molto più profondamente di qualsiasi cosa avessi mai conosciuta o immaginata. Ci eravamo "allontanati", come diceva lo svedese, in qualche regione, o in qualche insieme di condizioni dove correvamo grossi rischi, a noi tuttavia incomprensibili; dove le frontiere di qualche mondo sconosciuto erano vicinissime a noi. Era un posto dominato dagli abitanti di qualche spazio esterno, una sorta di feritoia dalla quale potessero spiare la terra, non visti, un punto in cui il velo si era un po' consumato. Come risultato finale di un soggiorno troppo lungo in questo luogo, saremmo stati trasportati oltre il confine e privati di quella che chiamavamo la "nostra vita", ma attraverso un processo mentale, non fisico. In questo senso, come diceva lui, saremmo stati le vittime della nostra avventura: un sacrificio.”
Il mattino dopo erano andati a vedere da vicino quegli strani salici bianchi e avevano scoperto che erano tutti ricoperti da nidi biancastri brulicanti di “gatte pelose”.
                                      

Sembravano bombici del salice, vermetti pelosi che poi diventano magnifiche farfalle color latte.
                                     

Ce n’erano a milioni, dappertutto.
E nello specchio d’acqua della lanca notammo, ben nascoste come loro abitudine, centinaia di gallinelle d’acqua pronte a inghiottire i molti bruchi che scivolano dai nidi.
                                                     

Poi, come in un incubo, tutto era accaduto come un’inesorabile reazione a catena.
Centinaia di leucoma salicis avevano “sparato” verso i loro volti migliaia di peli urticanti che si erano conficcati nei loro occhi come minuscole frecce a forma di ago.
Lei per istinto era riuscita con un avambraccio a coprirsi l’occhio sinistro, ma il destro era stato colpito, come tutti gli occhi degli altri compagni di sventura.
Imprecando per il dolore e semiaccecati erano tornati all’accampamento per lavarsi gli occhi con le loro riserve d’acqua.
Si tenevano per mano e lei guidava l’incerta comitiva con il suo occhio sano.
Il bruciore dentro le cornee era quasi intollerabile e anche l’acqua recava ben poco sollievo.
Con una pinzetta Anna cominciò pazientemente a togliere tutti i peli urticanti penetrati nelle congiuntive oculari.
    

13/12/15

I SALICI BIANCHI(2): in cerca della garzaia scomparsa




a Lucio Mastronardi, scrittore e grande camminatore dei boschi vicino al Ticino, nei dintorni di Vigevano.

        IN CERCA DELLA GARZAIA SCOMPARSA

SECONDA TAPPA: CASCINA REGINA, PONTEVECCHIO MAGENTA (MI) - BOSCO DEL MEZZANONE OLTRE IL CANALE SCAVIZZOLO, DAVANTI ALLA TENUTA DELLA ZELATA (PV).
                                                                   Note tecniche:
E' POSSIBILE SEGUIRE IL TRACCIATO DELL'AVVENTURA SU GOOGLE EARTH, DIGITANDO TURBIGO (MI) E SEGUENDO IL CORSO DEL FIUME TICINO FINO A BEREGUARDO (MI).
LUNGHEZZA IN LINEA D'ARIA: 23,37 Km
TEMPO EFFETTIVO DI PEDALATA: 7 h 50'
MEDIA: 15.01 km/h
PARTENZA: 5.30
ARRIVO: 19.05
«Viandante, sono le tue orme
il sentiero e niente più;
viandante, non esiste il sentiero,                                              
il sentiero si fa camminando.
Camminando si fa il sentiero
e girando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai più
si tornerà a calpestare.
Viandante non esiste il sentiero,
ma solamente scie nel mare».

Antonio Machado
                                      
Sabato, 2 aprile 2016, lanca dei salici bianchi.

                                                 
                         

Riapro la moleskine.
Le tende sono piazzate vicino allo specchio argentato della lanca.
E’ tempo di annotare quest’altra giornata piena, sovraccarica come un boccale di birra spumeggiante.

               Siamo partiti da Cascina Regina alla volta del ramo delizia della Cascina Fagiana.
                                          
Prima sostiamo al centro LIPU per ammirare i rapaci notturni salvati dai bracconieri. Chiediamo loro di essere i nostri spiriti del bosco e di proteggere la nostra avventura.
                                     

                                                               
                                                            - Poiana e Gufo del centro LIPU la Fagiana -

Purtroppo non possono più volare con la necessaria destrezza e sono sostenuti dai volontari.
Attraversiamo il ponte di legno che rappresenta il centro del Parco del Ticino e pedaliamo nel folto dei boschi, verso il ponte di Vigevano.
                                                        

Il cartello da seguire è località Scolmatore, sette virgola sette chilometri.

                                     

07/12/15

I SALICI BIANCHI

                                           di Mauro Banfi



                     

“L’Anima Mundi come respiro dell’universo, racchiude il cuore, l’empatia, il rispetto, la fratellanza universale, la libertà…”
James Hillman


PRIMA TAPPA: PONTE TIBETANO PRESSO TURBIGO (MI) - CASCINA REGINA, PONTEVECCHIO MAGENTA (MI)

                                                                   Note tecniche:

E' POSSIBILE SEGUIRE IL TRACCIATO DELL'AVVENTURA SU GOOGLE EARTH, DIGITANDO TURBIGO (MI) E SEGUENDO IL CORSO DEL FIUME TICINO FINO A BEREGUARDO (MI).


LUNGHEZZA IN LINEA D'ARIA: 12,23 Km
TEMPO EFFETTIVO DI PEDALATA: 5 h 20'
MEDIA: 18.01 km/h
PARTENZA: 6.30
ARRIVO: 17.05


                             
  
Venerdì, 1 aprile 2016.
Apro il fedele taccuino moleskine per registrare i fatti di questa splendida giornata di natura e bicicletta.
Io, Paolo, Riccardo e la sua consorte Anna, “la compagnia della ParkBike”, abbiamo cominciato questo viaggio partendo dal ponte tibetano posto in località Tre Salti, nel comune di Turbigo.
                                
Il nostro è un tentativo di avvicinarci alla terra e a noi stessi.
Cercheremo di conoscere la terra su cui viviamo e che la maggioranza delle persone ignora, chiuse a tripla mandata dentro le loro prigioni di vetro e cemento.
Proveremo a conoscere meglio noi stessi: un itinerario in bici e a piedi è anche un’esperienza di essenzialità.
Questa mattina, controllando i nostri zaini e riponendo i nostri fidati bastoncini telescopici, ricordavamo che quando li prepari devi scegliere solo alcune cose e accantonarne delle altre superflue.
E’ un’operazione fondamentale che tutti dovremmo fare in una società dove le assillanti tecniche di mercato sono attrezzatissime per convincerti di avere nuovi bisogni.
Un’escursione nel parco ti mostra come bastano quattro cose per vivere un’esperienza formativa, vitale e memorabile.
Abbiamo con noi le tende, perché vogliamo dormire per quattro notti nel Parco del Ticino, in località Lanca della Zelata.
Tempo fa ho avvistato una stupenda lanca interna, nascosta alla vista dei sentieri più battuti, tutta contornata da salici bianchi.
Vogliamo dormire in quel posto incantato ed è là che ci stiamo dirigendo.La partenza è stata emozionante:                   


01/12/15

GITA A VILLA SCOTT (LA VILLA DEL BAMBINO URLANTE) di Mauro Banfi

   
«Pronto, Mauro, come va?»
«La faccio andare, Rudy, se non vuole andare»
«E allora, hai qualche idea per una gita?»
«Imposta il GPS: Torino, Corso Giovanni Lanza, 57.
Andiamo a vedere la “villa del bambino urlante”, quella del film “Profondo Rosso”di Dario Argento.»
«Ancora Torino, dopo il bioparco, i luoghi di Salgari, i giri di Nietzsche, le stazioni esoteriche, il nuovo Museo Egizio, ancora Torino?»
«Ripeto forte e chiaro: Villa Scott, la “villa del bambino urlante”.
E ho detto tutto, parliamo di pura mitologia.»
« Che forza! Mauro, siamo sotto casa tua sabato alle otto, okey?»

                               
Erika e Rudy suonano il clacson e io e Blu scendiamo in strada. Dietro di loro c’è l’altra macchina di amici.
Per tutti ho preparato una scheda introduttiva alla gita.
«Ma questi sono film degli anni ’70, che cosa c’entrano con “Profondo Rosso?”» dice Erika scorrendo il suo fogli A4.
Faccio un cenno per dire: "a tempo debito".
Ecco la lista che ho preparato per gli amici, adoro introdurre una visita con degli elenchi:


L’uccello dalle piume di cristallo (D. Argento, 1970)
Giornata nera per l’ariete (L. Bazzoni, 1971)
Reazione a catena (M. Bava, 1971)
La corta notte delle bambole di vetro (A. Lado, 1971)
Chi l’ha vista morire? (A. Lado, 1971)
Cosa avete fatto a Solange? (M. Dallamano, 1972)
La dama rossa uccide sette volte (E. Miraglia, 1972)
Non si sevizia un paperino (L. Fulci, 1972)
La morte ha sorriso all’assassino (A. Massaccesi, 1973)
Il profumo della signora in nero (F. Barilli, 1974)
Profondo Rosso (D. Argento, 1975)
La casa dalle finestre che ridono (P. Avati, 1976)
Suspiria (D.Argento, 1977)
Solamente nero (A. Bido, 1978)


Sotto alla lista c’è una citazione dal film “La casa delle finestre che ridono” di Pupi Avati.
“Oggi ho ritratto quella svergognata mentre crepava…”
Filiamo sull’autostrada mentre comincio a rievocare:
«Il thrilling alla Dario Argento, l’horror all’italiana degli anni ’70, un momento magico della creatività italiana.
Allora i produttori investivano fiumi di quattrini negli artisti e nelle opere d’arte, e non c’era il terrore per i flop come adesso.
Tutto culminò con il successo del maestro Dario Argento…»
«Mauro, tu lo chiami maestro,» lo interruppe Rudy «ma io stento a credere che il regista di Profondo Rosso e di Suspiria sia lo stesso di Giallo e di Dracula 3D. Se tu non avessi insistito a farmi vedere Profondo Rosso, non starei guidando alla volta di Torino…»
«E’ giusta la tua osservazione, Rudy, ma va inquadrata storicamente e criticamemente.
Quando apparve sugli schermi italiani "L'uccello dalle piume di cristallo" di Dario Argento, il maestro rovesciò completamente il genere stesso. Trattenendo da Mario Bava (per primo aveva cominciato pochi anni prima a lavorare sull’estetica della paura)  il gusto per la "scenografica" bellezza della morte, Argento introdusse geniali concetti visivi, come la soggettiva del serial killer, dando vita ad un virtuale "cordone" ombelicale tra lo spettatore e la vittima stessa, unito ad una ricerca particolare e mai banale,  dell'inquadratura, come il "macro", per creare quell'atmosfera sconvolgente e surreale in cui l'assassino si muove ( si pensi al classico particolare ossessivamente argentiano dell'occhio ).
Per non parlare della grande cura data alla ricerca delle locations.
Adesso ci stiamo dirigendo verso la sua location più popolare e geniale.
Ma accanto a tutto questo, la vera rivoluzione introdotta da Argento è a livello contenutistico e concerne il movente che spinge l'assassino a compiere i suoi rituali di morte: il TRAUMA. Alla base dei thriller argentiani, c'è sempre un trauma, per lo più legato all'infanzia nel momento in cui l'innocenza e la purezza di un essere umano è talmente sensibile da non riuscire a scindere il bene e il male.
Ora, all’inizio della carriera il maestro cercava d’innestare il suo genio visionario in sceneggiature prive di salti logici, o perlomeno il più verosimili possibili.
Progressivamente è diventato barocco e gli effetti hanno scalzato i nessi causa/effetto di uno storytelling ordinato e ben concatenato…
Dopo “L’Esorcista” (e l’ondata di film horror e thriller americani), un film che è una perfetta macchina narrativa, precisa come un orologio, certe leggerezze narrative che Argento si prenderà sempre più spesso nel proseguo della carriera saranno avvertite con maggior fastidio dagli spettatori.
Ma non dimentichiamo mai che il maestro Dario è uno dei pochi registi ammirato da artisti del calibro di Polanski, De Palma, Romero, Raimi e sopra tutti il grande John Carpenter…»
Alla lunga il volume della radio venne alzato.
Al primo autogrill la mia commemorazione storica viene sfilata via come un costume medievale per un caffè e un cornetto.
I ragazzi vogliono vedere la “villa del bambino urlante”.
Al cospetto di un mito così possente sono solo un misero ciarlatano e ho solo un merito: aver fornito un certo indirizzo al TomTom.

                                  

Usciti dal casello di Torino, riprendo a parlare (per fortuna so rendermi conto dell’esasperazione del mio entusiasmo e so tacere, all’occorrenza):
«E ora, dobbiamo andare in zona Borgo Po e risalire la collina che porta al monte dei Cappuccini.
Avvisteremo cinque ville prima di arrivare a villa Scott, costruita dall’ingegner Pietro Fenoglio nel 1902. Imposta per Villa Regina, capitano Rudy».
La prima villa che incontriamo è quindi Villa della Regina (una residenza storica dei Savoia), lungo la Strada Comunale Santa Margherita, a Torino.
Proseguendo ci ritroviamo sulla strada comunale Valpiana dove incrociamo una seconda e una terza villa. 
Il viaggio continua poi sulla Strada alla Villa d'Agliè, dove ammiriamo Villa D'Agliè, quindi un'altra villa meno nota anticamente appartenuta ai Savoia.

                               

Stiamo facendo lo stesso percorso che fa Mark, il protagonista del film, quando sta cercando la Villa.
Proseguendo arriviamo in Via Vittorio Amedeo Gioanetti angolo Corso Giovanni Lanza.